i nomi e le storie

Le nostre persone dell'anno sono le giornaliste Anastasia Blyshchyk e Maryam Vahidian

Claudio Cerasa

La prima combatte contro i russi. La seconda contro gli ayatollah. Due grandi storie che ci ricordano cosa vuol dire mettere il proprio corpo a difesa della libertà

Lei, con l’elmetto in testa, la bandiera dell’Ucraina legata dietro le spalle e un cocomero in mano, si chiama Anastasia Blyshchyk. E’ ucraina, ha ventisei anni, ha lavorato per una vita in un importante canale televisivo del suo paese, Ukraina 24, è stata fidanzata per alcuni anni con un giornalista molto famoso in patria, Oleksandr Makhov, e dopo aver visto il proprio ragazzo morire in guerra, a maggio, dopo essersi improvvisamente arruolato, ha preso una decisione improvvisa: ha scelto di arruolarsi anche lei, nell’esercito ucraino, per difendere la memoria del suo fidanzato, ha scelto di mettere in gioco la propria vita per difendere la libertà del suo paese e ha scelto di farlo incollando sulla sua uniforme, sulla spalla destra, una toppa non ufficiale, con su scritto, in maiuscolo e in bella evidenza, “Arm Women Now”. 

Lei, con le due trecce brune, si chiama invece Maryam Vahidian. E’ iraniana, ha trentuno anni, è una giornalista, lavora per l’agenzia di stampa Harana, un organo di stampa di un gruppo di attivisti che combatte per i diritti umani, e a un certo punto, durante le manifestazioni contro il regime, ha scelto anche lei di scendere in piazza, di protestare contro gli ayatollah, di tenere viva la memoria di Mahsa Amini, la ragazza curda di ventidue anni uccisa il 16 settembre dalla polizia morale iraniana dopo essere stata arrestata perché non portava correttamente il velo, e lo ha fatto mettendo a rischio la sua vita, sapendo che le sarebbe potuto accadere quello che è capitato, negli ultimi tre mesi, a 400 persone in Iran, vittime della repressione del regime iraniano, e sapendo che sarebbe potuta finire laddove si trova dallo scorso 6 dicembre: in arresto, in Iran, in un luogo sconosciuto, senza essere in grado di dare proprie notizie e senza avere alcuna certezza rispetto alla sua futura incolumità fisica. 

Anastasia e Maryam sono le nostre persone dell’anno perché rappresentano, con le loro storie, con il loro impegno, con la loro forza, un sentimento divenuto improvvisamente centrale nel corso dell’anno che si sta per concludere: il formidabile desiderio di libertà dei popoli oppressi e il coraggio contagioso di sfidare i regimi sanguinari con tutti i mezzi a disposizione. Da una parte, in Ucraina, si lotta per difendere il proprio paese, si lotta per difendere la propria libertà, si lotta per difendere i confini della democrazia europea e si lotta ogni giorno per resistere agli atti terroristici portati avanti da un macellaio sanguinario incapace di tollerare la proliferazione di una democrazia ai propri confini. Dall’altra parte in Iran, dove giovani donne e studentesse marciano e manifestano per il diritto di non essere velate, per il diritto di viaggiare e lavorare liberamente, per il diritto di prendere decisioni sulle proprie vite, si lotta per difendere un popolo inerme dalla violenza di un regime islamista che combatte chiunque cerchi di conquistarsi uno spazio di libertà in più. 

Sono due vicende diverse, due guerre diverse, due battaglie diverse, ma sono due storie, quella iraniana e quella ucraina, quella di Anastasia e quella di Maryam, che hanno qualcosa in comune e che contengono il più importante e rivoluzionario e travolgente messaggio che ci consegna il 2022. Dimostrare, come ha scritto su questo giornale Anne Applebaum, che è contemporaneamente possibile essere patrioti e credere in una società aperta, che è ancora possibile sognare che una democrazia possa essere più forte e più feroce dei suoi avversari e che è ancora possibile credere che un popolo oppresso scelga di diventare nuovamente padrone del proprio destino impegnando le proprie vite contro tutto quello per cui oggi vale la pena combattere. Contro le dittature. Contro i regimi. Contro gli illiberalismi. Contro le repressioni. Contro gli ayatollah. Contro gli estremisti. Contro gli avversari dell’occidente. Contro i nemici della democrazia. E Anastasia Blyshchyk e Maryam Vahidian, in fondo, con le loro storie ci ricordano, senza retorica, cosa vuol dire, davvero, mettere il corpo delle donne a difesa della libertà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.