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Scholz rischia il disaccoppiamento con Bruxelles sulla Cina

Daniel Mosseri

Il problema della missione del cancelliere a Pechino non è la visita ma lo stile “business as usual”. Diminuire la dipendenza economica da Pechino è un processo lungo che passa anche dalla diversificazione delle aziende tedesche: “Ma questa delegazione è un sottoinsieme di imprese che hanno raddoppiato le scommesse economiche sulla Cina”. Parla Andrew Small

Berlino. Olaf Scholz ha visitato la Cina per la prima volta da capo del governo della Germania. I tedeschi ci dovrebbero essere abituati: Angela Merkel fu campionessa di missioni nella Repubblica popolare con dodici viaggi in 16 anni al potere. Eppure il viaggio di Scholz è stato accompagnato da una pioggia di critiche, con i sondaggisti impegnati a misurare il dispiacere dell’elettore medio per questa missione del leader socialdemocratico. E invece “che io sia qua è una cosa buona e giusta”, ha esordito assertivo il cancelliere da Pechino dove è stato accolto da Xi Jinping, e dove ha poi visto il premier cinese Li Keqiang. “Ci incontriamo in un momento di grande tensione”, ha poi riconosciuto il cancelliere. “In particolare, voglio sottolineare la guerra russa contro l’Ucraina che pone molti problemi all’ordine mondiale”.

 

Xi, secondo l’emittente cinese Cctv, ha semplicemente sottolineato che “la Cina sostiene la Germania e l’Ue nello svolgere un ruolo importante nella promozione dei colloqui di pace e  della costruzione di un quadro di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile”. Insomma, Pechino è schierata con Mosca e i tedeschi cominciano a temere il gigante asiatico al quale sono legati a doppio filo: nel 2021 la Cina si è confermata primo partner commerciale della Germania per il sesto anno consecutivo davanti a Paesi Bassi e Stati Uniti con un interscambio pari a 246,1 miliardi di euro. Un certo sgomitare cinese in Germania con l’acquisizione in giorni recenti del 25 per cento di un terminal del porto di Amburgo e del 100 per cento di una fabbrica di microchip a Dortmund hanno fatto il resto: secondo una rilevazione Infratest Dimap il 49 per cento dei tedeschi chiede meno cooperazione con Pechino e l’87 reclama più indipendenza economica dai paesi autoritari. E invece “il governo Scholz continua  a scommettere sui profitti a breve termine per le grandi aziende, ignorando i costi di dipendenza a lungo termine”, ha affermato il responsabile esteri della Cdu Norbert Röttgen.

 

Il problema della missione del cancelliere a Pechino non è la visita in sé ma lo stile “business as usual”, dice Andrew Small al Foglio. L’esperto senior di Cina del German Marshall Fund di Berlino rileva come a cambiare rispetto ai tempi della cancelliera non sia solo la situazione internazionale “ma questa visita non è stata coordinata con i partner del governo né rispecchia le linee guida del patto di coalizione”, patto che puntava a disincentivare i rapporti commerciali con le autocrazie. Da cui le parole della ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, che ha invitato il cancelliere a parlare di diritti umani in Cina e di ricordarsi di una politica orientata ai valori. Small da parte sua non contesta il diritto di Scholz a recarsi in Cina: “Penso che il valore di poter comunicare direttamente con Xi Jinping sia molto importante”. Il problema sono i tempi di questa missione che avviene poco dopo la celebrazione del congresso del Pcc, “e quindi assume il valore di un endorsement politico”. Quanto alla formula scelta “non ho visto una piccola delegazione politica che ha recapitato pochi messaggi chiari” ma il solito seguito di rappresentanti di imprese (Basf, Siemens, Volkswagen, BioNTech e Deutsche Bank). Diminuire la dipendenza economica da Pechino è un processo lungo che passa anche dalla diversificazione delle aziende tedesche: “Questa delegazione è invece un sottoinsieme di imprese che hanno raddoppiato le loro scommesse economiche sulla Cina”.

 

Small boccia il cancelliere anche in europeismo. Tanto il patto di coalizione quanto la stessa Ue hanno invocato una strategia comunitaria nei rapporti con Pechino. Scholz ha invece risposto con una fuga in avanti “e vien da chiedersi se la strategia tedesca e la politica europea debbano invece essere guidate da un piccolo gruppo di imprese”.

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