VERSO IL 20° CONGRESSO DEL PARTITO / -1

La piramide di Xi Jinping

Giulia Pompili

Inizia il conclave che trasformerà la Cina. Chi c’è al vertice (sempre più impenetrabile) con il presidente. I nomi e i volti da tenere d'occhio

Il Congresso del Partito comunista cinese che inizia domenica funziona così: si svolge ogni cinque anni, dura una settimana, e a partecipare sono convocati circa 2.300 selezionatissimi membri del Partito – i delegati – che rappresentano gli oltre 95 milioni di iscritti (avete letto bene, 95 milioni). Come in una setta dalla struttura piramidale, tra loro ci sono i circa quattrocento membri del Comitato centrale d’élite del Partito, che a sua volta comprende i venticinque membri del Politburo, e il suo Comitato permanente, cioè l’organo decisionale più potente della leadership cinese, composto da cinque a nove uomini e guidato dal segretario generale. Domani, quando si chiuderanno le porte della Grande sala del Popolo, il palazzo sul lato ovest di piazza Tiananmen a Pechino, tutto quello che deciderà questo manipolo di rappresentanti cambierà per i prossimi cinque anni la politica della seconda potenza mondiale e del paese più popoloso del mondo.


Di una cosa siamo sicuri: fino all’arrivo di Xi Jinping al vertice della piramide, il Partito comunista cinese aveva una certa pluralità al suo interno, anche perché l’espressione del potere era la diretta conseguenza di un bilanciamento delle varie “correnti” o fazioni che pure esistevano nel partito e avevano un potere d’influenza. Nel giro di dieci anni, Xi Jinping ha riscritto le regole della consuetudine, praticamente tutta la liturgia del Partito, ha accentrato il potere nella piccolissima cerchia dei suoi protetti, ha fatto piazza pulita dei suoi oppositori, ha eliminato i limiti di mandato e quelli di età per chi è al vertice della piramide. Sappiamo sempre meno di quello che molto spesso viene definito il conclave della politica cinese, quest’anno però abbiamo una mezza certezza: Xi Jinping vuole avere il terzo mandato di questi pieni poteri, diventando così il leader più potente sin dai tempi di Mao Zedong. 
Xi ha deciso di non presentare un suo successore, e mentre il prolungamento delle sue cariche appare scontato, meno scontate sono le nomine intermedie: i nomi e i volti degli altri sei membri del Comitato permanente del Politburo saranno fondamentali per capire quanto potere il Partito è disposto a consegnare nelle mani di Xi Jinping, e quanto in realtà la sua volontà sarà depotenziata. 


Il primo ruolo da controllare sarà quello di premier, cioè il vice, in linea di successione, del segretario generale. Li Keqiang, 67 anni,  il settimo premier della Repubblica popolare cinese sin dal 2013, ha già fatto due mandati e ha già annunciato che lascerà la sua carica. Chi lo sostituirà?  E’ molto insistente, da giorni, l’ipotesi Hu Chunhua, 59 anni, attuale vicepremier. Hu è l’astro nascente di una “nuova generazione” e soprattutto della Tuanpai, la cosiddetta fazione della Lega della Gioventù comunista. Sul Nikkei, Katsuji Nakazawa ha scritto che Hu “segue le orme dell’ex presidente Hu Jintao e dell’attuale premier Li Keqiang”, e la sua eventuale scelta come premier “potrebbe significare che Xi sta scendendo a compromessi con la fazione rivale del Partito. Tuttavia, fonti che hanno familiarità con la questione, dicono che anche se Hu diventasse premier, la presa del potere di Xi verrebbe mantenuta e le politiche economiche potrebbero diventare ancora più conservatrici. Questo perché Xi accetterebbe il compromesso solo se fosse soddisfatta una condizione. Questa condizione è che tutti gli altri seggi del Comitato permanente del Politburo, il massimo organo decisionale del Partito comunista cinese, composto da sette membri, saranno occupati dagli stretti collaboratori di Xi”. 
L’ipotesi diametralmente opposta è che si arrivi alla nomina di Li Qiang, 63 anni, fedelissimo di Xi, segretario del Partito a Shanghai, che però ha un enorme problema sulle spalle: i due mesi di ferreo lockdown della megalopoli cinese a causa della politica Zero Covid, mesi che hanno creato insoddisfazione tra la popolazione e un disastro economico nella capitale industriale del paese. Ecco, perché è proprio l’economia cinese in rallentamento uno dei nodi più importanti che il Congresso dovrà affrontare: il Partito comunista cinese ha la sua legittimazione solo se l’economia corre, se i cinesi si arricchiscono, se si tiene fede a quella dichiarazione di Xi Jinping del febbraio 2021, quando proclamò la vittoria sulla povertà (ben due anni dopo Luigi Di Maio, c’è da dire). 


Per questo motivo diversi media che osservano le vicende cinesi da vicino hanno scritto di un altro nome che circola molto, ed è quello di Wang Yang, 67 anni, attualmente presidente della Conferenza politica consultiva del popolo cinese. Il profilo di Wang è  diverso rispetto ai leader destinati a ruoli cruciali del Partito: non è un “principe”, non viene cioè da una famiglia di quadri, ma si è fatto le ossa nella classe media, nel settore della distribuzione alimentare. Il suo volto è da sempre associato al cosiddetto “modello Guangdong”, fatto di riforme e aperture. E’ considerato, forse semplicisticamente, dagli osservatori occidentali un liberale. Perché la verità è che non si arriva a un certo livello del Partito se non si aderisce ad alcune posizioni del leader supremo. Anche Wang è affiliato alla Lega della Gioventù comunista. Secondo la Brookings Institution, un segnale di continuità potrebbe essere affidato alla nomina di Han Zheng, 68 anni, al quale dovrebbe essere condonato il limite d’età superato, ma che sarebbe l’uomo più rassicurante per Xi: era sindaco di Shanghai quando il leader era capo del Partito della città. La scelta in cerca di credibilità internazionale, secondo la Brookings Institution, ci sarebbe nel caso di nomina a premier di Liu He, che dei quattro attuali vicepremier è il più conosciuto, ma perfino più vecchio di Han Zheng. Liu è un economista, ha un master ad Harvard, ha gestito personalmente la guerra commerciale con l’America e conosce il modello occidentale. 


Poi ci saranno da osservare le promozioni dentro al Comitato permanente del Politburo, cioè i sei leader del cerchio ristrettissimo di potere di Xi Jinping. Non sappiamo chi se ne andrà e chi resterà, ma ci saranno almeno tre nuovi nomi. Quasi sicuramente il membro più anziano, Li Zhanshu, che un mese fa è andato in Russia e ha parlato con Vladimir Putin, si dimetterà, e molto probabilmente sarà nominato vicepremier. Non abbiamo criteri oggettivi per prevedere le altre nomine. 
Come ha scritto Bill Bishop nella sua newsletter, “la mancanza di informazioni affidabili o anche solo di voci credibili sui cambiamenti del personale e dello statuto del Partito al Congresso della prossima settimana è piuttosto notevole”. Possiamo soltanto fare ipotesi, oppure osservare dall’esterno le comunicazioni che ci saranno date la prossima settimana. La Cina di Xi Jinping è sempre più segreta, così come il funzionamento del suo potere. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.