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Kanye West presidente in America è l'ennesima provocazione, ma dopo Trump tutto è possibile

Giulio Silvano

Egocentrico, messianico, contraddittorio: è il candidato rap. Ha dichiarato che la prossima sarà una campagna “con lo stile di Trump e le idee di Bernie Sanders”. Nel 2020 aveva preso 67 mila voti

È entrata nella storia, almeno in quella delle campagne presidenziali, e subito memizzata, la partecipazione di Clint Eastwood alla serata della Republican National Convention del 2012. Il bravissimo regista parlò per quasi un quarto d’ora con una sedia vuota immaginandoci sopra Obama, in una scena un po’ cringe-senile. Negli stessi momenti a fare campagna per Obama c’erano Bruce Springsteen, Beyoncé e Jay-Z. In Italia la questione “celebrità di destra” è risaltata, sulla prima pagina dei giornali e con grande sdegno sui social in certe bolle, con la partecipazione di un Pino Insegno tolkieniano alla giornata pre-elettorale, per presentare Giorgia Meloni sul palco con una frase del Signore degli Anelli. Se come ha dimostrato, in parte, Giovanni Raboni, che “moltissimi tra i protagonisti o quanto meno tra le figure di maggior rilievo della letteratura del Novecento siano collegabili a una delle diverse culture di destra”, citando T. S. Eliot, Céline, Thomas Mann, Pound, Hesse, Borges, Forster, Gadda, Cioran, Nabokov, Landolfi, Claudel, Montale, Pirandello e diversi altri, è vero che le celebrities del mondo dello spettacolo tendono a esser liberal, sempre fan della massima espansione dei diritti civili, e fanno a gara per appoggiare il presidente democratico di turno. Anche solo in Italia, tra i cheerleader televisivi musicali del centrodestra liberale pre-Calenda, abbiamo quasi sempre solo visto personaggi ormai un po’ attempati come Iva Zanicchi, cospirazionisti come Giuseppe Povia o fenomeni proletar-regionali come Gigi D’Alessio. In una puntata di 30 Rock, la serie tv di Tina Fey, alla soglia delle elezioni presidenziali Obama vs. Romney, il personaggio interpretato da Alec Baldwin, reaganiano di ferro e vice presidente della rete televisiva Nbc, cerca di convincere Jenna, la star femminile di un programma, ad appoggiare in diretta i repubblicani per far vincere Romney. Riesce a persuaderla dicendole che in questo modo, vista la scarsa competizione, diventerà la celebrità più figa affiliata al partito repubblicano. Le fa notare come le star che appoggiano il GoP siano pochissime: “Craig T. Nelson, Chuck Norris e il teschio di Charlton Heston”. E le dice: “Tu saresti l’unica repubblicana cool”. 

     

Il rapper si è presentato alla fashion week parigina la scorsa settimana con una maglietta “White Lives Matter”, slogan dei suprematisti bianchi

   
Quindi, quando Kanye West, considerato un monumento della cultura rap, famosissimo, un pezzo della storia musicale americana, un musicista e produttore capace di unire l’hip hop della East Coast con quello della West Coast, reso nazional-popolare dal matrimonio con Kim Kardashian, si è presentato al cospetto di Donald Trump come fosse un monarca a cui prestare omaggio, molti si sono chiesti se fosse impazzito. Durante la seconda èra Bush, pochi giorni dopo l’uragano Katrina, Kanye partecipò a un evento televisivo pieno di star per raccogliere fondi per le vittime della Florida. Invece di parlare del disastro, Kanye andò fuori copione e, accanto a un imbarazzato Mike Myers, disse: “A George Bush non frega niente dei neri” (che poi è anche diventata una canzone). Nel 2018, invitato nello Studio ovale, Kanye, che ora si fa chiamare Ye, ha fatto un discorso sconclusionato di dieci minuti davanti a Trump indossando un cappellino rosso “Make America Great Again”, dicendo anche: “Noi neri abbiamo una responsabilità per quello che stiamo facendo, ci ammazziamo tra noi più di quanto facciano i poliziotti”. Come si è passati da criticare Bush ad abbracciare Trump? In America più che mai, la questione razziale, nel suo essere sistemica, è imprescindibile dalla politica. Kanye poi è afroamericano, figlio di un attivista che collaborava con le Pantere nere e di un’insegnante in un’università storicamente nera. Ormai è sdoganato il repubblicano nero in posizioni di potere: Condoleezza Rice, Colin Powell e uno dei giudici della corte suprema attuale, Clarence Thomas, sono solo alcuni esempi. Con Trump però non parliamo di repubblicanesimo tout-court, vecchio stile, di cui invece facevano parte Rice e Powell, ma di un populismo con infiltrazioni alt-right, con elementi estremisti, irrazionali e antidemocratici. Trump, fin da quando era un impresario edile negli anni Settanta, con l’azienda paterna che si occupava di metter su e affittare alloggi a basso e medio reddito nel Queens e a Brooklyn, è stato accusato di razzismo per aver rifiutato più volte inquilini afroamericani. Durante la presidenza poi ha fatto diversi commenti considerati tra il bigotto e il suprematista, attaccando il movimento Black Lives Matter e i giocatori di football che si inginocchiavano a inizio partita, per non parlare degli insulti all’Africa o del fatto che vari gruppi dichiaratamente razzisti lo hanno sempre supportato. La questione razzista per Kanye ha trovato un nuovo apice alla fashion week parigina della scorsa settimana dove è apparso con una maglietta con la scritta “White Lives Matter”, per presentare i vestiti della sua linea Yeezy (Kanye è anche stilista). La maglietta con lo slogan dei suprematisti bianchi, molto Ku Klux Klan, già usata dalla Aryan Renaissance Society, ha creato subito una shitstorm. E così è stato subito invitato da Fox News, nel programma conservatore di Tucker Carlson, per parlare un’ora, dove ha attaccato Anna Wintour, direttrice di Vogue, e paragonato Trump a Ralph Lauren: “Ha degli edifici col suo nome sopra”. Ha anche raccontato che Trump gli ha detto: “Kanye, sei un amico. Quando sei venuto alla Casa Bianca, il mio tasso di approvazione con i neri è salito del 40 per cento”. 

 

Trump gli avrebbe detto: “Sei un amico. Quando sei venuto alla Casa Bianca, il mio tasso di approvazione con i neri è salito del 40 per cento”

   
Kanye West è sempre stato sopra le righe, certo, e questo potrebbe spiegare l’apprezzamento per una figura come quella di Trump. Uno che si proclama self-made man e che ha sempre esagerato il proprio status di miliardario – “sono molto ricco”, diceva spesso in campagna elettorale. Il livello di sicurezza, di arroganza e di egocentrismo di un presidente Usa non è mai stato tanto alto come quando The Donald, star del reality The Apprentice, era alla Casa Bianca. Si trovano dei pattern comuni tra le due figure anche nell’idea hip hop del bling, dell’ostentazione dell’oro guadagnato, come mettendo il proprio nome sui palazzi – basta vedere gli interni degli appartamenti di Trump: tentativo Versailles, effetto Casamonica. Va detto che a volte le cose che fa Kanye avrebbe potuto farle Trump, o comunque twittarle, e viceversa. Poche persone vanno davanti alle telecamere a dire che sono dei geni, anche se lo pensano. “Sono un genio creativo”, ha detto Kanye in tv. “Sono un genio molto stabile”, ha detto Trump a un evento Nato. L’ex presidente ha ripetuto decine di volte alla stampa: “Sono molto intelligente”. Un altro punto in comune tra i due – nonostante, o forse proprio in virtù del loro anti-intellettualismo – è l’avversione per la lettura. Nonostante Trump abbia pubblicato diversi libri, tra cui il celebre bestseller The art of the deal, diversi biografi e persone che hanno lavorato con lui quando era presidente hanno riportato che non legge niente, che si tratti di libri o documenti top secret. Kanye di recente ha detto che non ha mai letto un libro in vita sua: “Per me leggere è come mangiare i cavoletti di Bruxelles”. 

  
Quando Kanye è stato criticato per la sua ammirazione per il presidente, ha scritto: “Non dovete per forza esser d’accordo con Trump ma la folla violenta non può evitare che io lo ami”. E ancora: “Abbiamo entrambi un’energia da draghi. E’ un fratello. Amo tutti. Non sono d’accordo con tutto quello che fanno gli altri. E’ questo a renderci individui. E abbiamo il diritto ad avere un pensiero indipendente”. Quello che sembra piacere a Kanye di Trump, oltre al nome sugli edifici, è il fatto che si sia sempre brandizzato come vincente. Trump, come Kanye, si è sempre sentito un giudice, un critico, di qualsiasi argomento si tratti – “Meryl Streep è sopravvalutata”, ha twittato una volta. 

 

Poi si era allontanato dall’arena: “Ora ho finalmente gli occhi aperti e mi rendo conto che ho condiviso messaggi in cui non credevo”

   
Nel 2009 alla serata degli Mtv Video Music Awards Kanye salì sul palco mentre una giovanissima Taylor Swift veniva premiata, dicendo che al posto suo avrebbe dovuto vincere Beyoncé e che il suo video era il migliore. La lista di azioni di questo genere è infinita nel suo cv. Una volta è andato su tutte le furie con Kim Kardashian, ora ex moglie, perché durante un monologo del Saturday Night Live lo presentò come “rapper”. “Sono molto di più di un rapper”, disse lui, imbestialito. Con le sue altissime velleità da stilista, Kanye ha anche detto che la carriera di Kim era finita il giorno in cui ha indossato un outfit che non aveva composto lui. La scorsa settimana Kanye è stato di nuovo bloccato da Instagram per aver pubblicato uno screenshot di una sua conversazione antisemita con il rapper e produttore P. Diddy, dove insinuava che Diddy fosse “controllato dagli ebrei”. In risposta – perché per Kanye c’è sempre una risposta, deve sempre essere l’ultimo a parlare, proprio come Trump – ha postato su Twitter una foto in cui canta con Mark Zuckerberg a una festa scrivendo: “Guarda qui Mark. Come fai a cacciarmi da Instagram. Eri il mio fratello negro”. 

    
Dopo la vicinanza a Trump si era allontanato dall’arena scrivendo: “Ora ho finalmente gli occhi aperti e mi rendo conto che ho condiviso messaggi in cui non credevo. Mi sto staccando dalla politica per concentrarmi completamente nell’essere creativo!!!”. 

 
Il documentario di Michael Moore Fahrenheit 11/9 del 2018 inizia spiegando il vero motivo per cui Donald Trump si candidò alle primarie repubblicane: essere pagato più di Gwen Stefani per partecipare come giudice in un reality. Secondo questa narrazione all’inizio la candidatura era fuffa, tutto finto, solo per far parlare di sé e aumentare la popolarità e poi far aumentare i propri compensi in tv. Poi, di fronte alla folla adorante che urlava il suo nome, e vedendo i numeri di persone che partecipavano ai suoi comizi, Trump ci ha preso gusto, e ha capito che avrebbe potuto davvero farcela – anche considerata la scarsezza degli sfidanti repubblicani, l’odio diffuso per Hillary in quanto percepita come rappresentante dei poteri forti e una generica disaffezione per le istituzioni e la “vecchia politica”. E quindi ci si chiede: è questo l’obiettivo di Kanye West? Tornare alla ribalta dopo la rottura con Kim? Far parlare di sé ancora più del solito? O ha davvero mire governative? Vuole davvero andare a vivere a Washington e controllare il più grande arsenale nucleare del mondo? Senza spiegare molto, a inizio ottobre, dopo aver votato anticipatamente per le elezioni di metà mandato che rinnoveranno il Congresso, Kanye su Twitter ha postato sui social un cappello nero con scritto “2024”, la data in cui ci saranno le prossime presidenziali. E poi una sua foto di profilo sulla mappa degli Usa con scritto “KANYE 2024”. 

 
Ci aveva già provato nel 2020, e aveva detto in un’intervista “un giorno sarò presidente”, aggiungendo: “Quando ho visto Trump vincere, ho capito che si può vincere se vieni fuori dalla politica”. Si è candidato e il suo partito è arrivato settimo, con 67.906 voti, scegliendo come eventuale vice la sconosciuta Michelle Tidball, che di mestiere fa la life coach biblica. Ci sono poi diverse prove che Kanye abbia avuto contatti e si sia fatto aiutare da vari campaign manager repubblicani per raccogliere le firme per la candidatura, ottenuta solo in certi stati, e diversi analisti hanno sottolineato che questo conveniva al GoP perché avrebbe portato via dei voti afroamericani ai democratici. Kanye ha sempre negato che la sua carriera politica sia partita per vendere più dischi, e ha dichiarato che la prossima sarà una campagna “con lo stile di Trump e le idee di Bernie Sanders”. In un’intervista dove citava Reagan come esempio di uomo dello spettacolo che diventa presidente, Joe Rogan gli ha fatto notare che comunque l’ex attore era stato prima governatore della California, e Kanye ha risposto: “Credo che la mia vocazione sia quella di essere il leader del mondo libero”, saltando i passi e seguendo quelli di Trump, dallo show business a Pennsylvania Avenue.

  
Lo scarsissimo successo ottenuto nel 2020 dimostra che solo 67 mila persone – poco più della popolazione di Lamezia Terme – lo hanno preso sul serio nonostante avesse avuto l’appoggio social di Elon Musk. Il suo tentativo di interferire à la Ross Perot per minare il solido sistema bipartitico è fallito. Bisogna vedere se quella per il 2024 sarà una candidatura più strutturata e se Kanye ha intenzione di investirci davvero, ora che – anche lui – si professa miliardario, o se uno dei due partiti accetti di farlo partecipare alle primarie. Che ci creda o non ci creda davvero, le sue idee politiche appaiono confuse, cangianti, condite da richiami religiosi e da autocelebrazioni estatiche, con cambi di direzione ideologici repentini, in base all’umore e alla ripicca verso nuovi o vecchi nemici, per vendetta o antipatia. E’ chiaro che dopo l’elezione di Trump tutto è orribilmente possibile, anche una versione rap del populismo egotico nonsense.

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