Dallo Xinjiang a Taiwan. L'Ue fa di tutto per non irritare la Cina

Il discorso sullo Stato dell'Unione della presidente sulle "interferenze maligne" senza mai provocare Pechino

Giulia Pompili

La Commissione pubblica la sua proposta di divieto di commercializzare, sul mercato dell’Unione, i prodotti ottenuti con il lavoro forzato, ma von der Leyen nel suo discorso non menziona i lavori forzati né la Cina come sfida al sistema europeo. Il viaggio del capo delle spie a Taiwan improvvisamente cancellato

Durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, ieri, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non ha citato una proposta di divieto di commercializzare, sul mercato dell’Unione, i prodotti ottenuti con il lavoro forzato. Nei giorni scorsi era circolata l’ipotesi che  la regolamentazione, il cui testo è stato pubblicato in sordina nel pomeriggio di ieri sul sito della Commissione, sarebbe stata un elemento dell’importante discorso di von der Leyen al Parlamento europeo, anche perché il ban sui prodotti del lavoro forzato era stato un passaggio del discorso dell’anno precedente: “Ci sono 25 milioni di persone là fuori che sono minacciate o costrette al lavoro forzato. Non possiamo accettare che siano costrette a fabbricare prodotti che poi finiscono in vendita nei negozi europei. Proporremo quindi di vietare l’ingresso sul nostro mercato di prodotti realizzati con il lavoro forzato”, aveva detto la presidente. Ma secondo diverse fonti, citare la proposta ieri, due settimane dopo la pubblicazione del report sui diritti umani violati dalla Cina nello Xinjiang da parte dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite, avrebbe irritato la Cina. La proposta della Commissione infatti non cita mai direttamente né la Cina né lo Xinjiang, ma è molto chiaro a chi si riferisca (cotone, pomodori, componenti dei pannelli solari vengono soprattutto da lì). E’ ispirata al modello americano di divieto assoluto: vieta la commercializzazione e anche l’esportazione di certi prodotti fuori dall’Ue anche da parte di piccole e medie imprese, attraverso indagini sulla filiera produttiva la cui responsabilità sarà dei paesi membri. Ora sarà il Consiglio europeo a discutere della proposta, che avrà delle ripercussioni, ovviamente, sul mercato. 

  
La diplomazia internazionale con la Cina – e con molti altri paesi autoritari – per decenni è stata guidata da questo principio: ogni volta che qualcuno affronta un tema che loro considerano tabù i funzionari di Pechino sbattono la porta, e noi quella porta dobbiamo tenerla aperta. A fine agosto l’unico a pubblicare un comunicato sul gigantesco rapporto dell’Onu, che accusa la Cina di compiere atti che potrebbero configurarsi come un “crimine contro l’umanità” nello Xinjiang, era stato l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri Josep Borrell, e con toni molto cauti: “La situazione dei diritti umani nello Xinjiang richiede un’attenzione urgente da parte del governo cinese, dell’Onu e della comunità internazionale in generale” (“attenzione urgente” è simile a “preoccupazioni”, simbolo delle espressioni appese senza un concreto sviluppo, tanto che su Twitter c’è una seguitissima e molto ironica pagina che raccoglie tutti i motivi di preoccupazione dell’Ue, si chiama: Is Eu Concerned? e la risposta è quasi sempre in un aggettivo rafforzativo: “Very, deeply, strongly, seriously, gravely, extremely, unprecedentedly”).   Ieri il Financial Times ha scritto che pure dentro all’agenzia dell’Onu c’erano state molte resistenze alla pubblicazione del rapporto, che poi è avvenuta il 31 agosto scorso,  e perfino l’Alta commissaria Michelle Bachelet aveva detto di non voler “alienare la Cina”. 

  
Pechino osserva con attenzione le mosse dell’Unione europea, ma allo stesso tempo sembra che, al di là del Parlamento che ha preso una posizione molto decisa contro la Cina, le altre istituzioni Ue stiano cercando di rallentare la corsa a mettere sullo stesso piano Pechino e Mosca, per non avere due fronti economici contemporaneamente aperti. A ottobre era prevista una visita del capo dell’intelligence dell’Ue, José Casimiro Morgado, a Taiwan, ma è saltato tutto quando la Cina è venuta in possesso dell’informazione e ha fatto pressioni affinché la visita non avvenisse, hanno scritto ieri Stuart Lau e Jacopo Barigazzi su Politico.

  
Ieri von der Leyen ha parlato esplicitamente di Cina soltanto una volta, durante il suo discorso, e solo per parlare della nostra dipendenza dalla Cina: “Quasi il 90 per cento delle terre rare e il 60 per cento del litio vengono lavorati in Cina”, ha detto. E poi ha annunciato una legge europea sulle materie prime critiche. Forse la coercizione economica  e lo sfruttamento del lavoro forzato da parte della Cina non è ancora, per l’Ue, una battaglia da combattere in questa guerra “tra autocrazie e democrazie”. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.