Hunter Biden (Getty Images)

Hunter Biden è il protagonista del primo film di Breitbart

Giulio Silvano

Con il nuovo film sulla vita del figlio di Joe Biden la destra americana torna ad attaccare il presidente. E lo fa senza alcuno scrupolo colpendo negli affetti familiari

Se nella campagna elettorale del 2016 le mail di Hillary Clinton erano state usate per minare la sua credibilità, nel 2020 il dispositivo populista-conservatore da usare contro i democratici per screditare Joe Biden è stato il computer portatile di suo figlio Hunter. Il figlio del presidente – o una persona che avrebbe usato il suo nome – aveva lasciato un portatile in un negozio del Delaware per aggiustarlo, senza poi tornare a ritirarlo. Avvertiti dal proprietario, gli agenti dell’Fbi erano arrivati per prenderlo in custodia.

  

Secondo i media dell’alt right, il computer conteneva mail e materiali compromettenti per Joe Biden, e questo avrebbero potuto cambiare il risultato delle presidenziali. L’ha ribadito di recente Trump, fomentato dalle dichiarazioni di Mark Zuckerberg che, in un’intervista a Joe Rogan, ha raccontato che, appena prima che la storia del “laptop infernale” uscisse fuori, l’Fbi lo aveva avvertito di stare attento alla massiccia quantità di propaganda russa utilizzata a fini elettorali.

 

E così le notizie sul portatile di Hunter sarebbero state ridotte e filtrate. Se questo non fosse successo, dicono i trumpiani, Biden non avrebbe vinto. Trump l’ha chiamata una truffa e una delle interferenze più gravi della storia del paese, proponendo come soluzione di “dichiarare il vincitore legittimo, oppure, e questo sarebbe il minimo, dichiarare compromesse le elezioni del 2020 e tornare immediatamente al voto!”. La presenza di Hunter Biden nel board di una private equity cinese e la collaborazione con il miliardario Ye Jianming per la costruzione un gasdotto in Louisiana erano già stati usati da Trump per dire che Joe era un “burattino della Cina”.

 

Nel 2014 Hunter era entrato nel board di Burisma, azienda ucraina che si occupa dell’estrazione di gas naturali. Trump, arrivato al potere, aveva telefonato al presidente Volodymir Zelensky per chiedergli di investigare su presunte accuse di corruzione verso il figlio dell’ex vicepresidente. Hunter Biden è diventato insomma il feticcio del trumpismo, l’anello debole della famiglia presidenziale usato come breccia per scalfire la solida rispettabilità di Joe. L’ultima trovata della destra è stata quella di farne un film uscito martedì. Con il crowdfunding sono stati raccolti oltre 2 milioni e mezzo di dollari. E’ un biopic che racconta il passato da tossicodipendente di Hunter e i suoi presunti intrallazzi politici. “La storia che i media dell’establishment non vogliono farti vedere”, lo pubblicizza il sito Breibart, che con “My son Hunter” entra nella distribuzione cinematografica.

 

Per un certo periodo Hunter avrebbe speso oltre 200 mila dollari al mese tra alberghi di lusso, auto sportive, droga e spogliarelliste – nel film si vede Hunter mezzo svenuto sul divano tra tre donne seminude. Il sottotitolo è “La famiglia viene prima di tutto” e molte informazioni sono state prese dal memoir di Hunter, “Cose belle”, dove non risparmia i racconti sull’uso frequente del crack, tra cui il fatto che fosse arrivato a fumarsi anche del parmigiano. Così alla première a Los Angeles, l’organizzazione ha giocato con i vizi del figlio del presidente, aprendo con un quiz dove tra i premi in palio c’erano un bong per la marijuana e una forma di parmigiano. Nel poster, molto “Paura e delirio a Las Vegas”, nel riflesso degli occhiali da sole vediamo l’attore che interpreta Joe Biden baciare sul collo la protagonista, un’agente che indaga sulla famiglia presidenziale, interpretata da Gina Carano, che sostiene di essere stata “cancellata da Hollywood”. Joe ha sempre difeso il figlio, ma la destra torna a colpire dove può, in casa, in famiglia, per aggiungere un pezzetto al mosaico di denigrazioni dell’immaginario bannoniano di cui è lastricata la strada per il 2024. 

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