il voto visto da bruxelles

La postura macroniana in Europa non s'ammacca dopo le legislative in Francia

Jean-Pierre Darnis

Le convergenze espresse sia con la Germania di Scholz sia con l’Italia di Draghi sembrano già parte integrante della seconda presidenza Macron che, anche dopo il trattato del Quirinale, cerca di rafforzare un nocciolo duro continentale in grado di trascinare l’intera Unione

Dopo il primo turno delle legislative francesi, l’erosione della partecipazione e l’abbassamento del consenso per il presidente suscitano alcuni interrogativi. La presidenza  sembra avere difficoltà a creare un collegamento con il Parlamento e la coalizione Nupes, l’alleanza popolare, ecologista e sociale, che invece si afferma malgrado l’erosione del voto di sinistra nelle ultime consultazioni. Lo scenario intorno a Emmanuel Macron resta però  relativamente tranquillo: la sua coalizione potrebbe non raggiungere la maggioranza assoluta, ma rimane l’unica in grado di trascinare una maggioranza relativa. 

 

Lo scenario di una maggioranza Nupes sembra impraticabile per la particolare geografia del voto di sinistra concentrato in alcune zone, nonché per l’impossibilità di un’alleanza alternativa fra Nupes e il Rassemblement National di Marine Le Pen. Un’ulteriore fattore di debolezza della sinistra radicale si trova nelle condizioni che hanno portato al successo nel primo turno: l’alleanza fra France Insoumise, comunisti, verdi e socialisti non lascia nessun serbatoio di voti per il secondo turno. Dal lato di Macron invece una parte dell’elettorato conservatore potrebbe preoccuparsi per la potenziale crescita della sinistra radicale simbolizzata da Mélenchon dando voti alla Republique en Marche di Macron. La partecipazione al primo turno è stata infatti talmente bassa che anche una microvariazione potrebbe fare la differenza. Lo scenario della maggioranza relativa che porta a contrattare di volta in volta l’approvazione di una forza esterna come ad esempio i Republicains, ma anche la crescita di un’opposizione di sinistra in Parlamento, possono rappresentare elementi non cosi negativi per Macron spingendo a un rinnovo della dialettica politica e allontanando la percezione di una verticalizzazione del potere intorno al presidente che aveva suscitato tanta insofferenza tra gli elettori in passato.

 

Il campo macroniano e lo stesso presidente hanno probabilmente peccato di supponenza nel non avere una vera strategia per le legislative, facendo una campagna elettorale minima ed evitando qualsiasi tema che potesse urtare. Adesso però avranno gioco facile a richiamare il “pericolo comunista” cercando di coalizzare voti intorno a un rifiuto di Mélenchon, un tema semplice e comodo per i pochi giorni di campagna elettorale  prima del secondo turno.

 

Questa evoluzione dell’assetto politico francese pone però la questione delle conseguenze sull’impegno europeo della Francia. Esistono rischi di variazione in quanto l’attuale ministro per gli affari europei, Clément Beaune, è in posizione sfavorevole nel ballottaggio a Parigi. Se venisse battuto al secondo turno potrebbe essere obbligato a lasciare il governo. Sarebbe paradossale vedere Beaune  lasciare il posto, mentre rimarrebbe in funzione l’attuale ministro degli Esteri, Catherine Colonna, una diplomatica di carriera mai eletta.  L’allargamento della maggioranza potrebbe inoltre rendere opportuna una forma di rivisitazione della compagine governativa. In linea di massima la posizione francese in materia di politica europea e internazionale non dovrebbe subire grandi variazioni. Il sostegno all’Ucraina rimarrà saldamente espresso dall’insieme dell’arco politico ed eventuali nuove sfumature non dovrebbero essere tali da invertire la rotta. Le dichiarazioni recenti di Emmanuel Macron sull’opportunità di reinvestire nel settore della Difesa nonché la volontà di spingere per una politica europea in materia illustrano sia la forte continuità della presidenza francese sia una forma di scommessa elettorale nella quale il presidente rimane a tempo pieno attivo sulla scena internazionale, tralasciando persino alcune dinamiche interne. 

 

Da questo punto di vista le convergenze espresse sia con la Germania di Scholz sia con l’Italia di Draghi sembrano già parte integrante della seconda presidenza Macron che, anche dopo il trattato del Quirinale, cerca di rafforzare un nocciolo duro continentale in grado di trascinare l’intera unione. Si tratta per Macron anche di giustificare un riformismo interno in constante dialettica con l’elemento europeo, una posizione ben diversa dai riferimenti  nazionalisti espressi da Mélenchon e dalla Le Pen. L’Europa quindi rappresenta un terreno nel quale il riformismo macroniano non andrà ad affievolirsi, anche in caso di maggioranza relativa, perché perno della sua identità politica. Questo spingerà probabilmente a produrre risultati, portando quindi il riformismo francese a maggiori forme di dialogo con i principali partner europei e spingendo gli stessi partner europei a formulare indirizzi politici comuni capaci di suscitare un consenso francese, un esercizio nel quale Mario Draghi si è ben cimentato finora.