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Come superare gli errori del passato

L'Ucraina del futuro

Matt Maasikas

Dobbiamo aiutare Kyiv a vincere. L’Ue ha cambiato l’approccio nei confronti della guerra e di Putin, dopo anni di illusioni. Ora è tempo di programmi fatti insieme: non è troppo presto, mettiamoci al lavoro

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Traduciamo l’articolo dell’ambasciatore europeo in Ucraina pubblicato sul sito dell’International Centre for Defence and Security


In un articolo del 2014 per il Financial Times, Simon Kuper scriveva: “La storia in occidente spesso serve come intrattenimento, qualcosa da godersi a comoda distanza, un po’ come un film dell’orrore. Questo è lo spirito di gran parte della memoria occidentale del 1914 quest’anno. Nei Balcani, invece, la storia è più fresca, più viziosa, sempre pronta a saltare fuori e mordere il presente”. Per quanto mi riguarda, a questa frase si potrebbe aggiungere “Europa orientale”. Gli europei dell’est della mia generazione hanno vissuto in prima persona una grande storia: quella della liberazione causata dal crollo dell’Unione sovietica. Sappiamo che la storia, nel bene e nel male, non si può ignorare nascondendo la testa sotto la sabbia.
In passato, le guerre iniziavano con bandiere, parate e una dichiarazione di guerra, a cui potevano seguire settimane o addirittura mesi prima dello scoppio delle ostilità. Oggi sono cambiate molte cose. Oltre ai servizi di intelligence e alle Forze armate, i controllori europei del traffico aereo sono stati tra i primi a venire a conoscenza dell’attacco russo all’Ucraina. Nelle prime ore del 24 febbraio, la Russia ha notificato la chiusura dello spazio aereo ucraino. Si è trattato di un annuncio insolito: i paesi tendono a chiudere solo il proprio spazio aereo, non quello dei vicini. E la Russia non ha nascosto il fatto che il motivo della chiusura fosse un’azione militare. In quel periodo dormivo tre ore a notte. Una telefonata di un alto funzionario europeo dei trasporti alle 4 e 09 di Kyiv non mi ha svegliato. Forse è stata una scelta irresponsabile, ma è stato così che, intorno alle 5 di mattina, ho scoperto cosa si prova a svegliarsi con le esplosioni – un’esperienza che, da europeo sulla cinquantina, avevo fortunatamente evitato fino a quel momento.

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Prospettive dell’Europa orientale

In Europa occidentale questo sarebbe impensabile. Di norma, le persone possono relazionarsi personalmente con due generazioni precedenti e successive: i vostri nonni e i vostri nipoti sono quelli che vedete e di cui ascoltate le storie. E’ improbabile che l’estinzione del sole tra qualche miliardo di anni sia una preoccupazione personale per la maggior parte delle persone oggi, ma gli effetti del cambiamento climatico entro il 2100 potrebbero esserlo. Guardando al passato, la Seconda guerra mondiale sta cominciando ad avere un significato solo accademico per la maggior parte degli europei. Essendo stato l’ultimo grande sconvolgimento per l’Europa occidentale, la geopolitica tende a essere un concetto più teorico verso il confine occidentale del nostro continente. Inoltre, gli europei occidentali e orientali hanno spesso concezioni molto diverse della guerra, della sua conclusione, delle relazioni con gli alleati e di questioni simili. La linea di demarcazione corre dove le truppe di Stalin si sono fermate e non se ne sono più andate. La geopolitica si basa principalmente sulla geografia e sulla storia. E’ naturale che vivendo ai margini del continente, ai confini delle civiltà, per così dire in the Last Homely House, “nell’ultima casa”, si sviluppi un senso più acuto della geografia. Lo stesso vale per la storia, come ha suggerito Simon Kuper. Questa differenza di esperienze tra Europa occidentale e orientale spiega anche le diverse reazioni all’invasione russa della Georgia nel 2008 e alla guerra in Ucraina iniziata nel 2014. Nell’Europa orientale c’è stata (e c’è tuttora) una grande rabbia, ma non uno choc. Come disse qualche anno fa l’ormai defunto professore di Storia estone Enn Tarvel: la domanda non è se i russi torneranno, ma quando torneranno. Mi permetto di precisare che, in quanto membro responsabile della Nato con un’elevata spesa per la difesa, la domanda per l’Estonia è piuttosto: quando i russi tenteranno di tornare? Per gli abitanti dell’ultima casa, questa è la realtà: sempre sul punto di saltare fuori e mordere.


Per la parte occidentale del continente, invece, il 2014 è stato uno choc. Nessuno aveva mai pensato che vent’anni di pacificazione con Mosca potessero essere uno dei motivi per cui il Cremlino potesse decidere di scatenare una guerra in Europa. Durante una riunione del Consiglio degli  Affari esteri a novembre dello stesso anno, il ministro degli Esteri di un paese dell’Europa occidentale ha alzato la voce contro il suo collega lituano, che aveva chiesto una risposta più dura alle azioni della Russia dicendo: “Linas, capisco che  la tua esperienza storica, ma qui dobbiamo condurre una politica estera ragionevole!” Il fatto che l’Europa fosse in guerra non era ancora stato assimilato. Oppure, la gente semplicemente non voleva accettare il fatto che l’Ucraina sia parte dell’Europa, che il Donbas sia in Europa, nelle nostre immediate vicinanze. Dal punto di vista della normale esperienza umana, non c’era nulla di sorprendente in questo scambio. Una distanza di due generazioni fa sì che gli orrori siano solo teorici, giusto? Nel suo eccellente libro “The War That Ended Peace” (2014), la storica canadese Margaret MacMillan descrive come le guerre nell’Europa prima della Prima guerra mondiale, dall’epoca di Napoleone in poi, si siano svolte rapidamente e con poco dolore, come le guerre di unificazione tedesca tra il 1864 e il 1871; oppure sono state combattute lontano e non hanno colpito direttamente gli europei, come le guerre coloniali. Circa un secolo dopo, la Crimea e il Donbas sembrano rientrare nella stessa categoria.

Gli errori del passato

Una reazione troppo morbida all’annessione della Crimea e alla guerra nel Donbas è stato solo uno degli errori commessi dall’Unione europea (e dall’occidente in generale). Ancora peggio è stato prendersi la responsabilità di porre fine alla guerra con troppa leggerezza. Creare il cosiddetto formato Normandia nel giugno 2014 è stato comprensibile: si coglie l’opportunità e si parla con chi è presente e aperto al dialogo. Escludere l’Unione europea e gli Stati Uniti era miope già allora. Ma proclamare questo formato come l’unico processo diplomatico per porre fine alla guerra, anche quando non era stato ottenuto molto nei sette anni trascorsi dal febbraio 2015, è stato irresponsabile. E non solo da parte dei paesi partecipanti, Russia, Francia e Germania (l’Ucraina ha avanzato nel corso degli anni diverse proposte per ampliare il gruppo), ma anche da parte degli americani e degli altri stati membri dell’Ue. Abbiamo lasciato che questo formato andasse avanti, dicendoci che, beh, c’è un processo – abbiamo la Normandia, abbiamo Minsk e il Gruppo di contatto trilaterale dell’Osce. Anche quando abbiamo visto che non si otteneva nulla di concreto, che la Russia non rispondeva al telefono, la guerra si trascinava. Ma si trascinava in modo apparentemente contenuto e a distanza, come le guerre coloniali del Diciannovesimo secolo.


Il terzo errore è stato quello di non prestare sufficiente attenzione agli sviluppi in Ucraina. Questa è un’esperienza familiare a tutti coloro che vivono nei paesi dell’Europa orientale e centrale – the bloodlands, le terre di sangue, per usare l’agghiacciante descrizione di Timothy Snyder – che vengono spesso guardati attraverso il prisma di attori più grandi, privi  di diritti propri, in funzione di poteri più grandi. Ciò che è passata inosservata è una differenza fondamentale tra la società russa e quella ucraina. Quest’ultima non ha alcuna traccia dell’inclinazione fatalistica della prima ad arrendersi alla volontà dello zar, ma ha  una forte tradizione pluralistica e una crescente aspirazione verso l’Europa. La politica estera occidentale tra il 2014 e il 2022 ha cercato per lo più di trattare l’Ucraina come parte del problema russo, in funzione di esso. L’Unione europea, un club di volontari che per quanto possibile evita di discutere su questioni controverse, non era giunta a una conclusione chiara sul fatto che l’Ucraina fosse un paese che combatteva una guerra per nostro conto (il punto di vista di un gruppo di stati membri, anche se con sfumature diverse) o un terreno fertile di corruzione, che drenava miliardi di euro per ragioni poco comprensibili e scarsi ritorni (il punto di vista di un altro gruppo di stati membri, anch’esso con sfumature). Non dovremmo sostenere un paese corrotto per ragioni puramente geopolitiche, continuava a insistere il secondo gruppo. L’Ucraina, nel frattempo, si era sviluppata e liberata per diventare molto più che un semplice terreno fertile per la corruzione.

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E’ facile capire perché gli ucraini abbiano impiegato più tempo di quanto ci sia voluto, per esempio, per noi nei Paesi baltici. L’Ucraina aveva una tradizione di stato ancora minore di quella che avevamo noi con i nostri due decenni di indipendenza negli anni tra le due guerre. L’Ucraina era molto più integrata nel sistema sovietico. E un modello imperfetto di privatizzazione degli anni Novanta aveva permesso l’emergere di una casta di oligarchi. Se la gente non ha ancora piena fiducia in uno stato appena nato e vede che nemmeno l’economia di mercato offre un trattamento equo, su cosa dovrebbe basarsi la fiducia in quello stato? Questo è il motivo per cui l’emancipazione dell’Ucraina ha richiesto tempo. Il primo segnale d’allarme è arrivato già con la Rivoluzione arancione del 2004, quando il popolo si rifiutò  di accettare clamorose frodi elettorali. Quando gli stessi truffatori, dieci anni dopo, cercarono di allontanare il paese dal percorso europeo, il popolo si ribellò. In Ucraina, gli anni successivi al 2014 sono stati un periodo di affermazione della democrazia, dello stato di diritto e dell’integrazione europea, nonostante tutte le difficoltà e la scarsa posizione di partenza. Lontano dal vecchio, lontano dall’est e verso l’occidente!

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L’Unione europea non ha potuto riconoscere appieno questo grande cambiamento geopolitico. A causa delle sue radici nell’integrazione economica e del suo carattere giuridico, l’Ue è probabilmente al massimo della sua impotenza quando un paese arriva e dice: vogliamo essere vostri amici! Bruxelles non dice: bene, abbiamo bisogno di alleati. Piuttosto chiede: qual è la base giuridica della nostra amicizia? Siamo ancora lontani dal pensiero geopolitico.


Un cambiamento epocale


Dal 24 febbraio di quest’anno sono cambiate molte cose. I leader europei non si limitano più a parlare della necessità del dialogo (il dialogo con un aggressore è comunque discutibile) e non si astengono dall’agire solo per paura di “provocare la Russia”. Il luogo comune secondo cui non esiste una soluzione militare al conflitto, che nel migliore dei casi è ignorante e nel peggiore serve solo ad alimentare ulteriori conflitti è, per quanto riguarda la Russia, dimenticato. Al contrario, l’alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri Josep Borrell ha affermato (a Kyiv, il 9 aprile) che la guerra sarà vinta sul campo e l’Ue farà la sua parte per aiutare l’Ucraina a vincere. Il cambiamento d’approccio rispetto a pochi mesi fa è stato epocale. L’Unione europea, un progetto di pace e premio Nobel per la pace, sta coordinando gli aiuti militari dei suoi stati membri all’Ucraina, con miliardi di finanziamenti! Anche la politica delle sanzioni di Ue, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e altri paesi è diversa dalle politiche passate.

Se nel 2014 noi (Unione europea) abbiamo affermato che lo scopo delle nostre sanzioni era far cambiare rotta alla leadership russa, ora abbiamo il coraggio di dire che l’obiettivo è avere un impatto massiccio e severo sulla Russia. All’inizio di aprile, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato un altro pacchetto di sanzioni per “aumentare la sofferenza di Putin e  ’isolamento economico della Russia”. La risposta all’aggressione russa ha portato alla migliore cooperazione tra democrazie degli ultimi decenni. Si parla già di una rinascita dell’occidente, di una resistenza ai regimi autocratici molto più dura del previsto. Le richieste di adesione alla Nato da parte di Finlandia e Svezia dimostrano l’attrattiva dell’Alleanza, che all’inizio della guerra parlava troppo di ciò che non poteva fare. E l’Alleanza sta rafforzando vigorosamente il suo fianco orientale. Tuttavia, sarebbe estremamente imprudente e irresponsabile indulgere in troppe riflessioni sulle mosse storiche che abbiamo fatto, e lasciare incompiuta o procrastinare la nostra azione relativa alla guerra. Quindi, mettiamoci al lavoro.


Cosa bisogna fare


Innanzitutto, dobbiamo aiutare l’Ucraina a vincere questa guerra. Gli ucraini devono ricevere tutte le armi più potenti di cui hanno bisogno. Poiché il Cremlino sta combattendo senza esclusione di colpi, compreso il possibile uso di armi nucleari, anche i paesi e le organizzazioni occidentali non dovrebbero escludere una risposta militare. Ogni dimostrazione di debolezza non fa altro che tentare l’aggressore. La nostra intenzione di rispondere a qualsiasi uso di armi chimiche o nucleari dovrebbe essere dichiarata apertamente. Inoltre, dobbiamo dire a noi stessi e dichiarare pubblicamente che la nostra politica non si fermerà nemmeno se in Ucraina verrà stabilito un cessate il fuoco. Volodymyr Zelensky è il presidente di una nazione democratica e nessuno dovrebbe criticarlo se decide che il numero dei suoi compatrioti caduti è troppo alto e che deve fare la pace, indipendentemente dal posizionamento delle forze russe sul suolo ucraino. Anche se l’Ucraina sarà nuovamente costretta ad accettare un cessate il fuoco sotto minaccia, come nel 2015, l’occidente avrà comunque il diritto di dire che il nostro obiettivo di infliggere alla Russia un dolore sufficiente da escludere una nuova aggressione è ancora valido. Inoltre, per ragioni sia pratiche sia morali, dobbiamo dire di sì alle aspirazioni dell’Ucraina di entrare a far parte delle organizzazioni occidentali: Unione europea e Nato. Per ragioni pratiche, perché è nel nostro interesse avere un nuovo grande alleato in una posizione strategica. Per ragioni morali, perché l’Ucraina è un paese europeo in termini di storia, cultura e, sempre più anche in termini economici, di contatti tra le persone e persino di affiliazioni ecclesiastiche. Se un paese del genere vuole diventare parte dell’Europa anche politicamente, se il popolo ucraino ha deciso di diventare europeo, chi mai ha il diritto di dire il contrario?


Secondo, dobbiamo già pensare a cosa fare con una Russia economicamente collassata (e, si spera, militarmente neutralizzata). Mentre i generali si preparano per l’ultima guerra e i diplomatici per l’ultima conferenza di pace, il Ventesimo secolo ci offre due modelli per trattare i vinti: Versailles e l’Unione europea. Sarebbe estremamente miope cercare di ripetere l’uno o l’altro. Dobbiamo partire da una domanda più vicina nel tempo: quali errori sono stati commessi nel trattare la parte perdente della Guerra Fredda e cosa possiamo imparare da essi? Il Cremlino non risponde in modo gentile a chi fa il bravo; risponde cercando di sfruttare chi fa il buono e cercando opportunità di vendetta. Come trattiamo questa volta una Russia sconfitta? Un nuovo processo di Norimberga per i criminali di guerra russi è solo una parte della soluzione. L’obiettivo deve essere quello di rendere impossibile l’aggressione russa per decenni, almeno per le due generazioni che possiamo realisticamente considerare.


Terzo, il maggior numero possibile di paesi e organizzazioni deve unirsi a questi processi. Non abbiamo il diritto di ripetere gli errori di formati ristretti. Tanto più che la posta in gioco, la questione del bene e del male, non è così netta da una prospettiva globale come ci sembra in Europa e in Nord America. Anche altri paesi, dall’India al Sudafrica, per non parlare della Cina, vedono la guerra in Ucraina come uno scontro tra l’occidente e tutti gli altri. Un’osservazione a margine: una missione a Odessa da parte della Nato o di una coalizione di volenterosi con l’obiettivo umanitario di consentire l’esportazione di grano ucraino verso i paesi più poveri del mondo attenuerebbe fortemente questa percezione. Finché questa missione non è in programma, il proseguimento di una simile prospettiva è molto pericoloso, sia in termini di ordine internazionale sia di efficacia delle nostre sanzioni contro la Russia. Ma se l’occidente – anzi, l’intero mondo democratico – sarà unito e determinato, ce la faremo.

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