Parlare di "guerra per procura" è una "ignominia" e allontana la pace

Luciano Capone

I "pacifisti" che in Italia sostengono che l’Ucraina combatta per conto degli Usa, oltre ad avere una visione eticamente discutibile, parlano esattamente come i falchi putiniani che vogliono prolungare la guerra

Nell’intervista a Repubblica il segretario del Pd Enrico Letta ha preso una posizione netta contro l’idea che in Ucraina ci sia una “guerra per procura”, ovvero che gli ucraini stiano combattendo per conto degli Stati Uniti o della Nato. È una definizione “ignominiosa”, ha detto , perché “i protagonisti sono gli ucraini, sono loro che stanno morendo e saranno loro a decidere se e a quali condizioni accettare una soluzione diplomatica”.

 

Non è una controversia lessicale. Dietro l’uso sempre più intenso di questa espressione c’è una questione fondamentale. L’idea, in voga tra i “pacifisti”, che Zelensky sia un burattino di Biden toglie soggettività agli ucraini e dignità alla loro causa. Di conseguenza, se la guerra è tra Stati Uniti e Russia si deresponsabilizza l’Europa e si giustifica un cedimento alle pretese di Putin. Alla base, forse, c’è il convincimento che se si tratta questa guerra non come un’aggressione ingiustificata (la Russia che invade l’Ucraina) ma come uno scontro tra potenze (Washington contro Mosca attraverso l’Ucraina), allora è più probabile raggiungere una “pace”: basta che Biden ordini a Zelensky di fermarsi e poi si accordi con Putin.

 

Questo approccio, oltre a essere eticamente discutibile perché colpevolizza le vittime (gli ucraini in fondo sono una protesi di Washington) e deresponsabilizza i carnefici (Biden è colpevole quanto Putin per le vittime), è anche falso. Perché gli ucraini hanno dimostrato attraverso una tenace resistenza di avere una forte volontà di libertà e indipendenza. Ma, soprattutto, non è neppure vero che la tesi della “guerra per procura” favorisca una soluzione negoziale. Anzi.

 

A Mosca, il dibattito è invertito. Andrei Kortunov, il direttore del Russian International Affairs Council (Riac), il più importante think tank del regime sulla politica internazionale, in un commento spiega come l’élite russa sia attraversata da una faglia proprio sulla soggettività dell’Ucraina. Solo che in Russia “i fautori di una soluzione diplomatica percepiscono Zelensky come leader legittimo di un paese europeo, un partner indispensabile, anche se non il più conveniente per i negoziati”. Mentre “chi sostiene una soluzione militare presenta Zelensky come un burattino dell’occidente senza soggettività politica, con cui non ha senso discutere se non i termini della resa”.

 

Quindi, paradossalmente ma forse neppure tanto, i “pacifisti” che in Italia parlano di “guerra per procura” assumono il punto di vista dei falchi putiniani che vogliono proseguire la guerra. “L’approccio diplomatico – scrive Kortunov – implica l’intenzione di trattare l’Ucraina come uno stato non pienamente maturo, ma indiscutibilmente sovrano che ha il diritto inalienabile di compiere una scelta indipendente sul vettore del suo sviluppo economico, sociale e politico. Il rifiuto di un approccio diplomatico riduce l’Ucraina a una posizione poco invidiabile di piattaforma di confronto geopolitico tra Russia e occidente, una ‘terra di nessuno’, un eterno ‘campo selvaggio’, che non possiede un destino proprio”. In questo quadro, ritenere quella in Ucraina una “guerra per procura” non è solo una “ignominia”, come correttamente dice Letta, ma è anche un ostacolo a una pace giusta e duratura.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali