Le elezioni francesi

Il futuro nero di gollisti e socialisti senza idee e senza rimborsi

Mauro Zanon

Insieme, i Républicains e il Ps, non hanno raccolto nemmeno il 7 per cento delle preferenze: Valérie Pécresse, candidata gollista, ha ottenuto il 4,78 per cento, mentre Anne Hidalgo, si è fermata all’1,75

Parigi. Il settimanale Point lo ha ribattezzato “demolition man”, perché  il candidato-presidente Emmanuel Macron non ha soltanto ottenuto un risultato convincente al primo turno delle presidenziali francesi (27,84 per cento dei suffragi, quasi quattro punti in più rispetto al 2017), qualificandosi al ballottaggio dove ritroverà Marine Le Pen, ma ha anche portato a termine la demolizione del vecchio sistema di potere che era iniziata cinque anni fa con la vittoria di En Marche!, la polverizzazione dei due partiti storici della Quinta Repubblica: il partito gollista e il partito socialista. Insieme, i Républicains e il Ps, non hanno raccolto nemmeno il 7 per cento delle preferenze: Valérie Pécresse, candidata gollista, ha ottenuto il 4,78 per cento, mentre Anne Hidalgo, la sindaca di Parigi, si è fermata all’1,75. Per le due formazioni politiche è il peggior risultato della loro storia. 


“E’ un fallimento. Un risultato del genere deve spingerci a fare un bagno di umiltà”, ha commentato Michel Barnier, ex capo negoziatore della Brexit per l’Ue, che lo scorso autunno si era candidato alle primarie golliste senza passare il primo turno. Il rischio, dopo la serataccia di domenica sera, è quello di una deflagrazione. “Il nostro partito ha ancora ragione di esistere? La nostra famiglia politica è dilaniata da diversi anni tra destra identitaria e destra moderata. Questa sconfitta non è forse un segno?”, ha dichiarato al Figaro un parlamentare gollista, mettendo l’accento sulla bancarotta ideologica dei Républicains, sull’assenza di un progetto chiaro alla base. “Bisogna rifare tutto da cima a fondo. Dobbiamo smetterla di raccontarci menzogne e chiarire i disaccordi interni. A forza di essere di destra e di centro non siamo più nulla”, ha detto il deputato Républicains Julien Aubert. Nel 2017, nonostante una campagna elettorale segnata da uno scandalo familiare, il “Penelopegate”, François Fillon era arrivato ad un passo dal secondo turno, incassando il 20 per cento di voti dei francesi per un totale di 7 milioni. Domenica sera, Pécresse ne ha raccolti appena 1,6. 


Per capire invece la portata della Bérézina socialista, è sufficiente ricordare che fino al 2014, il Ps aveva le chiavi dell’Eliseo con François Hollande, e quelle di Matignon, sede del governo, godeva della maggioranza al Senato (il presidente, dall’ottobre 2011 al settembre 2014, è stato il socialista Jean-Pierre Bel) ed era al vertice di 19 consigli regionali su 20, controllava due terzi dei consigli dipartimentali e i suoi sindaci governavano la maggior parte delle grandi città. Nel 2012, al primo turno, Hollande raccoglieva dieci milioni di voti, Hidalgo, lunedì sera, ne ha conquistati poco più di seicentomila (a Parigi, la sua città, ha preso poco meno di 23 mila preferenze su un totale di un milione di iscritti alle liste elettorali).  “Questo Ps è morto”, ha sentenziato Julien Dray, il “barone nero” del socialismo francese, prima di aggiungere: “Siamo di fronte a una catastrofe, il Partito socialista non ha lavorato come doveva”. Secondo il giornalista e storico Didier Rykner, il risultato del Ps si spiega non solo con una campagna condotta in maniera disastrosa, inanellando gaffe e contraddizioni, ma è anche una conseguenza diretta del bilancio nefasto di Hidalgo a Parigi. 


I Républicains e il Partito socialista, ora, non sono soltanto in rovina dal punto di vista ideologico e identitario, ma anche economico (secondo le informazioni di France Info, il Ps ha un debito vicino agli 8 milioni di euro). Avendo ottenuto meno del 5 per cento dei suffragi non hanno infatti diritto ai rimborsi delle spese di campagna da parte dello stato. Valérie Pécresse, ieri, per garantire la sopravvivenza del partito, ha chiesto un aiuto finanziario non solo agli elettori gollisti ma a tutti i francesi “che tengono al pluralismo mediatico e alla libertà d’espressione”, dichiarando di essersi “indebitata personalmente per 5 milioni di euro”. Per salvare la boutique gollista ne servono almeno 7.