il discorso alla nazione

"Trump ha creato e diffuso bugie sulle elezioni del 2020". L'attacco di Biden

Un anno dopo l'assalto al Congresso, il presidente degli Stati Uniti parla alla nazione. "L'ex presidente non ha fatto nulla per fermare la folla. Deliberatamente"

Luciana Grosso

Comincia oggi, la fase due della presidenza Biden. Al Campidoglio, nello stesso posto dove un anno fa è finita la decenza della presidenza Trump e iniziata la fase due del trumpismo bugiardo, bugivoro e parente stretto del terrorismo, oggi, è iniziata la fase due della presidenza Biden. Una presidenza che, se nei prossimi mesi sarà come è stata nei minuti dei discorsi di Kamala Harris e Joe Biden, sarà decisamente meno conciliante e decisamente più pugnace. 

Chissà se dietro le parole esplicite e chiare di Joe Biden c’è stato il consiglio degli spin doctor impegnati a riportare in alto la popolarità del presidente o se, invece, c’è solo la palese constatazione che la verità è una e merita di essere pronunciata in tutto il suo scandalo.

La vicepresidente Harris, pure in affanno di popolarità, ha aperto il suo discorso ricordando che lei, quel giorno, c’era. Che lei quel giorno, era non solo vicepresidente eletta, ma anche senatrice, e che si è dovuta rintanare nei bunker, insieme ai colleghi democratici e repubblicani. Lei, quel giorno, come decine di colleghi democratici e repubblicani, sapeva che oltre le porte blindate dei bunker c’era una folla sovreccitata e fuori controllo che voleva la sua testa, senza nemmeno sapere bene perché. Ma soprattutto, ha detto Harris, quel che volevano, senza forse nemmeno renderse conto (o forse sì, ed è peggio), era la fine della democrazia. "Ciò che gli estremisti che vagavano per queste sale stavano prendendo di mira non erano solo le vite dei leader eletti. Ciò che cercavano di degradare e distruggere non era solo un edificio consacrato. Ciò che stavano attaccando erano le istituzioni, i valori, gli ideali, che generazioni di americani hanno costruito e difeso nei secoli, anche con il sangue. Ciò che era in gioco allora e ora è il diritto che il nostro futuro sia deciso nel modo in cui lo prescrive la Costituzione. Non possiamo lasciare che il nostro futuro sia deciso da chi è deciso a mettere a tacere le nostre voci, ribaltando i nostri voti, e pedalando bugie e disinformazione. Il 6 gennaio, abbiamo visto tutti come sarebbe la nostra nazione se le forze che cercano di smantellare la nostra democrazia avessero successo: l'illegalità, la violenza, il caos prevarrebbero. Il 6 gennaio ci ha mostrato la duplice natura della democrazia: la sua fragilità e la sua forza. La fragilità della democrazia è questa: se non stiamo vigili, se non la difendiamo, la democrazia semplicemente non reggerà". 

Un intervento, quello di Harris, da vice. Da chi, per ruolo e rispetto istituzionale, parla di teoria e, per ruolo e rispetto istituzionale, sta un passo indietro.

Poi ha parlato Biden: e si è passati alla pratica. Le vaghe minacce alla democrazia, citate da Harris, hanno trovato, nelle parole del presidente un nome e un cognome, un colpevole, un responsabile, un volere meschino e malvagio: Donald Trump

“L’ex presidente non solo ha perso le elezioni. Ma ha cercato di sovvertire il risultato e cercato di impedire il trasferimento pacifico del potere. Quello che abbiamo visto quel giorno, per la prima volta nella storia, non è stata solo la folla che sfondava le porte del Campidoglio, che imbrattava i muri e che defecava – letteralmente – nei corridoi. Quello che abbiamo visto quel giorno per la prima volta è stato un presidente che, dallo studio ovale, assisteva a tutto questo e deliberatamente non faceva niente, assolutamente niente, per fermarlo o impedirlo”.


Ma la colpa di Trump, nelle parole di Biden non è e non è stata solo quella di non aver fermato la folla: è stata anche quella di averla indirizzata e pensata. Biden lo ha detto senza nessun giro di parole, senza nessuna volontà di ricucire, guarire, dimenticare, perdonare o passare oltre. “Un ex presidente degli Stati Uniti d'America ha creato e diffuso una rete di bugie sulle elezioni del 2020. Lo ha fatto perché preferisce il potere ai principi. Perché vede il suo interesse come più importante di quello del paese. Lo ha fatto perché il suo ego ferito conta, per lui, più di quanto contino la nostra democrazia o la nostra Costituzione. Non può accettare di aver perso. E non gli importa che il suo procuratore generale, il suo vicepresidente, i governatori e lo stato i funzionari in ogni stato del campo di battaglia hanno tutti confermato, in ogni verifica, controllo o riconteggio, che lui ha perso".

Parole chiare a cui ne sono seguite altre altrettanto chiare e rivolte, palesemente, anche se non esplicitamente, agli elettori repubblicani. Prima Biden ha spiegato, ancora e oltre il superfluo, perché anche volendo crederci, la bugia delle elezioni rubate non ha alcun fondamento logico: “Sulla stessa scheda si votava per altre elezioni, che l’ex presidente non ha contestato. Perché? Perché non riguardavano lui”. 

Poi ha fatto appello alla grande (e decisamente gloriosa) storia del partito Repubblicano, da Lincoln ai Bush, dicendo che per lui i repubblicani sono avversari politici per mille motivi, ma che, nei secoli, il partito Repubblicano ha sempre avuto a cuore la democrazia. “Qualunque sia il mio altro disaccordo con i repubblicani, cercherò sempre di lavorare insieme a loro per sostenere lo stato di diritto e non il governo di un solo uomo”.

Ora dunque, non resta che aspettare. Non resta che scoprire come sarà il resto della presidenza Biden, non resta che sentire cosa dirà Trump in Arizona il prossimo 15 gennaio, non resta che attendere le mosse del partito repubblicano e scrutare i sondaggi. 

La fase due della Presidenza di Joe Biden è iniziata oggi, al Campidoglio. Nello stesso luogo dove è finita la presidenza Trump. 

 

 

 

 

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