l'arte della flessibilità

Come ti conquisto un nomade digitale? La legge del Portogallo e il mercato del lavoro ibrido

Paola Peduzzi

Uno dei pochi effetti positivi della pandemia sono le persone che lavorano da remoto e che scelgono il posto in cui vivere a seconda delle condizioni offerte dalla città e dai propri clienti o datori di lavoro. E inizia una corsa inattesa e virtuosa tra i paesi membri per ospitarli

C’è chi li chiama nomadi digitali, chi freelance, chi autonomi: sono uno dei pochi effetti positivi della pandemia, le persone che lavorano da remoto e che scelgono il posto in cui vivere a seconda delle condizioni offerte dalla città e dai propri clienti o datori di lavoro. In Europa, dove il mercato del lavoro è spesso rigidissimo e dove la circolazione libera è un bene spesso sottovalutato o addirittura bistrattato, è cominciata una corsa inattesa e virtuosa tra i paesi membri per diventare la casa di questi nomadi operosi: visti speciali sono stati introdotti in Francia, Spagna, Grecia, Croazia, Malta, Portogallo, Germania, Estonia, Repubblica ceca e Romania. I requisiti richiesti per dare il visto da nomade variano di paese in paese, ma l’obiettivo è uguale per tutti: attirare nuovi lavoratori, trasformare la scoperta dei benefici del lavoro da remoto in un valore aggiunto

  
In tutto il mondo ci si sta interrogando sul futuro del lavoro e degli spazi (gli uffici) del lavoro. 

  
Il New York Times è andato a intervistare molti manager del mondo tech per capire che rapporto hanno loro con il lavoro da remoto e con il ritorno in ufficio: tutti raccontano di aver imparato ad ascoltare molto di più i dipendenti, di aver imparato a pensare in modo “ibrido”, a non occuparsi più dell’orario di lavoro quanto della produttività e del benessere dei propri dipendenti, ricordandosi che queste due cose vanno a braccetto. La presenza, la vita d’ufficio, gli sguardi, le chiacchiere alla macchinetta del caffè non possono essere aboliti, anzi, spesso per i più giovani la formazione passa soprattutto attraverso la presenza, perché imparare è anche esserci. Ma in una forma nuova, in cui il nomade non è per forza un corpo estraneo.

   
Fra tutti i paesi europei che si sono messi nel business dell’attirare i freelance di certo il più creativo è il Portogallo. È stata introdotta una legge in cui il lavoro da remoto viene protetto più che altrove – è stata soprannominata la legge del “diritto a riposare”. I datori di lavoro non possono contattare (leggi: disturbare) i propri dipendenti fuori dall’orario di lavoro a meno che non sia strettamente necessario, altrimenti rischiano di essere multati. Poiché i prezzi dell’energia sono alti ovunque, le aziende si devono impegnare a contribuire a pagare le bollette dei propri dipendenti che lavorano da casa. E superando con un balzo tutti i dibattiti sui congedi parentali, la legge portoghese stabilisce che per i genitori di figli sotto gli otto anni non ci sono vincoli di orario e di presenza: possono lavorare dove vogliono. Il governo socialista ha spiegato che questa normativa è fatta per attirare i nomadi digitali, per trasformare il Portogallo nel paese migliore in cui lavorare. C’è chi ci vede un eccesso di protezione, ma anche questa iniziativa in realtà riassume una delle grandi lezioni della pandemia: liberi sì, ibridi sì, flessibili sì, ma soprattutto responsabili.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi