In America

Se pure il New York Times dà la sveglia anti woke alla sinistra

Paola Peduzzi

“Un Partito democratico nazionale che parla solo di politiche radicali a discapito delle idee bipartisan, e che si sofferma soltanto su Donald Trump a discapito di una visione, rischia di diventare un Partito democratico marginale, che piace soltanto a sinistra”, scrive il quotidiano americano: tutti al centro

L’Economist mette Joe Biden in copertina e dentro a un buco e scrive che, per tirarsene fuori, il presidente americano deve prendere le distanze dalla “nuova-nuova sinistra”, cioè dagli attivisti molto acculturati delle grandi città e i deputati eletti negli ultimi anni che “partono dal presupposto che l’elettorato abbia le stesse idee sul razzismo o sul ruolo dello stato che hanno loro”. L’elogio del centrismo, pur con qualche appunto più duro del solito (per il compito che spetta al presidente “ci vorrebbe un politico dal talento sovrumano, Biden non lo è”), te lo aspetti dal magazine dell’establishment moderato e liberale anglosassone. Più sorprendente è se a dire più o meno le stesse cose è l’Editorial Board del New York Times, il quotidiano americano che più di tutti, nell’ultimo anno e mezzo, è stato sconvolto dall’attivismo della sua nuova-nuova sinistra interna: ci sono stati licenziamenti e dimissioni, video antichi riemersi per attuare punizioni attuali – “it’s chaos”, scrisse in un resoconto Joe Pompeo su Vanity Fair.

Proprio per questa storia recente, l’editoriale del New York Times sul Partito democratico risuona potente – non è James Carville, storico consigliere di Bill Clinton, che dice secco alla Pbs che lui sa perché i democratici hanno avuto un Election day da incubo questa settimana: “Stupid wokeness”. Il New York Times dice che le espressioni “campanello d’allarme” o “avvertimento” non rendono lontanamente l’idea del buco in cui s’è infilato il partito e “il pericolo di ignorare le tendenze in atto è troppo grande”. Parliamone: la Virginia è uno stato blu-democratico, Biden ha vinto con dieci punti di vantaggio, ora il governatore è un repubblicano perché “i democratici si sono distratti dalle questioni cruciali come l’economia, l’inflazione, la fine della pandemia e il ritorno della normalità”, così che Glenn Youngkin ha preso tantissimi voti tra gli indipendenti, nelle periferie e perfino tra le donne. Nel New Jersey “true blue”, il governatore dem si è salvato per un soffio, ma il leader del Senato dello stato ha perso contro un camionista che aveva pochissimi soldi per la campagna elettorale.

Gli esempi sono numerosi, il New York Times li fa tutti e dice anche che spesso il partito al potere perde nei voti organizzati tra una presidenziale e l’altra, ma poi spiega: “Un Partito democratico nazionale che parla solo di politiche radicali a discapito delle idee bipartisan, e che si sofferma soltanto su Donald Trump a discapito di una visione, rischia di diventare un Partito democratico marginale, che piace soltanto a sinistra”. Il segnale è inequivocabile, l’elettorato si è mostrato diffidente nei confronti della spinta radicale, comprese le spese enormi del piano Build Back America, la rivoluzione bideniana. “Le preoccupazioni degli americani più centristi su come si spendono i soldi dei cittadini, su una rapida crescita della presenza dello stato non devono essere archiviate”. L’alternativa è abituarsi a perdere. 

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi