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Qui Etiopia

La guerra nel Tigrè sta mettendo in difficoltà il governo etiope

Enrico Pitzianti

Le autorità pensavano a un conflitto-lampo, ma la situazione si è ribaltata e i ribelli ora sono in vantaggio e a soli 400 chilometri dalla capitale Addis Abeba. Proclamato lo stato di emergenza nazionale, si temono l'assedio e la guerra civile

La guerra iniziata i primi di novembre del 2020 nel nord dell’Etiopia, nel Tigrè, doveva essere un modo facile e veloce per il governo federale di anestetizzare le voglie separatiste tigrine, disarmare i “ribelli” e così stabilizzare il grande stato africano. Invece la situazione si è rovesciata. Il Consiglio dei ministri dell’Etiopia ha appena dichiarato lo stato di emergenza nazionale. É successo dopo che l’avanzata delle forze tigrine da nord ha portato il Tigrè People Liberation Front (Tplf) alla conquista della città di Dessie, a meno di 400 chilometri dalla capitale Addis Abeba. 

  

Nelle scorse settimane erano già passate sotto il controllo tigrino altre città importanti come Kombocha (che come Dessie è strategica perché è sulla via che collega il nord del paese con la capitale) e Lalibela, celebre per il suo valore simbolico, storico e religioso – le sue chiese scavate nella roccia sono patrimonio Unesco, oltre che meta di pellegrinaggio per migliaia di africani cristiani. Ora il governo federale teme proprio che le forze del Tplf possano arrivare ad attaccare la capitale, che conta oltre 5 milioni di residenti. Tanto che, riferisce l’agenzia Fana, il capo dell'ufficio per sicurezza di Addis Abeba avrebbe già dato ai residenti due giorni per registrare le proprie armi o per consegnarle al governo o a un parente che potrebbe usarle per difendere la città. Insomma, ci si preparerebbe all’assedio.

  

Intanto l’assedio esiste già, e non solo in forma ipotetica, sul fronte opposto: Macallè, la capitale del Tigrè, subisce da due settimane i bombardamenti dell’aviazione del governo federale. Uno dei bombardamenti più violenti ha colpito l'area occidentale di Mai Tsebri domenica 24 ottobre, distruggendo quello che secondo il portavoce del governo, Legesse Tulu, era un centro di addestramento del Tplf. Contemporaneamente è stata colpita anche la città di Adwa, dove, sempre secondo Tulu, l’obiettivo è stato un centro per una non meglio precisata “produzione di armamenti”. Bombardamenti che, quindi, non avrebbero fatto vittime ma solo danni a strutture. La pensa in modo diverso il Dipartimento di Stato americano, che scrive in un comunicato che gli attacchi aerei delle Forze di difesa nazionali etiopi (Endf) a Macallè e in altre aree del Tigré, siano già “costati innumerevoli vite”.

  
Insomma, la situazione sembra essere perfettamente speculare: da una parte ribelli che minacciano la capitale dello stato, cioè Addis Abeba, dall’altra le forze federali che minacciano Macallè, la capitale della regione tigrina e centro delle forze separatiste. Speculare ma non simmetrica, vista la disparità di armamenti: il fronte tigrino è ben equipaggiato ma al contrario dell’esercito regolare non dispone di un’aviazione né dell’appoggio - sebbene informale - dell’esercito eritreo.

  

Rappresentanti militari del Tplf, intanto, chiariscono che non hanno intenzione di attaccare la capitale, ma di mettere fine all’assedio del Tigrè, regione dove l’ONU stima ci siano 400 mila persone che vivono condizioni di carestia dovuta proprio alla stretta voluta dal premier Ahmed (che, va ricordato, vinse il premio Nobel per la pace nel 2019 proprio per “aver messo fine alla guerra” nel paese). Una situazione che ha portato Addis Abeba a scontrarsi duramente con la comunità internazionale: non a caso il governo etiope, a inizio ottobre, ha espulso sette alti funzionari delle Nazioni Unite, intimandogli di lasciare il paese entro 72 ore e accusandoli di "ingerenza negli affari interni". Il motivo, scrive il Guardian, è che il personale dell’ONU era responsabile di "fornire aiuti salvavita” a fronte del blocco di medicine e cibo voluto dal governo federale nel nord Etiopia.

  

Che la situazione fosse difficile per il governo di Abiy Ahmed era diventato evidente già negli scorsi mesi: in Tigrè il conflitto si era incancrenito, e il Tplf (un tempo influente forza di governo etiope, oggi derubricata a coalizione che riunisce i ribelli antigovernativi) dopo una prima sconfitta puramente formale, aveva riconquistato parti importanti di territorio tigrino. Oggi però, con i tigrini che conquistano spazio anche nella regione degli Amhara, la guerra civile sembra sempre più vicina.

  

Sin dall’inizio del conflitto un anno fa Addis Abeba aveva interrotto le vie di comunicazione via terra con il Tigrè assediato. Così a nord hanno cominciato a scarseggiare i rifornimenti di materie prime, è diventato impossibile usare internet o ricevere soccorsi. I pochi giornalisti presenti erano stati cacciati, compreso Will Davison, analista dell’International Crisis Group. Eppure, nonostante questo embargo totale voluto dal governo federale, a fine ottobre su YouTube è apparso un video trap girato proprio in Tigrè e prodotto dai ribelli: le immagini sono di buona qualità e chi canta è seduto su un carrarmato nuovo di zecca, un T-72UA1 made in Ucraina. É un pezzetto di propaganda che ha vinto il blocco, ma anche la dimostrazione che il conflitto è molto lontano da essere risolto.

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