Jens Weidmann (LaPresse) 

Tra Germania ed Europa

L'equazione “la fine di Weidmann” quindi “finiscono gli scontri falchi-colombe” è tutta da verificare

Marco Cecchini

“Dieci anni sono un tempo giusto per iniziare un nuovo capitolo per la Bundesbank e per me”, ha scritto l'ormai ex presidente in una lettera. Ma le sue dimissioni hanno  il sapore amaro di una sconfitta personale, della sconfessione di una linea

Per una bizzarria del destino il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, il più falco tra i falchi, si è dimesso ieri con le stesse parole che Mario Draghi aveva usato al momento di lasciare il ministero del Tesoro un ventennio prima. “Dieci anni sono tanti per il paese, immagini per me”, aveva detto Draghi a chi lo intervistava. “Dieci anni sono un tempo giusto per iniziare un nuovo capitolo per la Bundesbank e per me”, ha scritto Weidmann nella lettera di congedo inviata ai dipendenti. Forse è l’unica cosa che li ha uniti: la motivazione delle dimissioni. Nel periodo in cui il premier italiano è stato a capo della Bce, il governatore tedesco ne ha combattuto la politica monetaria accomodante con tutti i mezzi, fino a testimoniare contro di lui davanti alla Corte costituzionale del suo paese. Con l’uscita del “nemico” forse ha anche pensato che le cose cambiassero a Francoforte e, in effetti, gli inizi di Christine Lagarde sembravano portare il timbro tedesco. Ma si sbagliava. Tempo un mese, la Bce era tornata giocoforza alla politica monetaria impostata da Draghi. 

 

Oggi le dimissioni di Weidmann hanno anche per questo il sapore amaro di una sconfitta personale, della sconfessione di una linea, di un modo di fare banca, di un rigorismo che oggi appare fuori tempo. Non è la prima volta che un governatore tedesco lascia prima del mandato. Lo hanno fatto Karl Otto Poehl nel 1990 e Axel Weber nel 2011 entrati in rotta di collisione rispettivamente con Helmut Kohl e Angela Merkel. Non era mai successo tuttavia che l’uscita di scena di un capo della istituzione più popolare e rispettata del paese incrociasse multipli segnali di cambio di fase: la vittoria dei socialdemocratici alle elezioni, la fine dell’era Merkel, perfino l’addio dopo gli Europei dello storico allenatore della nazionale Joachim Low e il licenziamento del direttore della Bild, il più conservatore quotidiano del paese. Stanno cambiando i connotati di sistema del paese leader d’Europa? Fu un governo socialdemocratico a rivoluzionare il welfare e il mercato del lavoro tedesco con l’Agenda 2010 nel 2003. Sarà ancora un governo guidato dalla Spd con dentro i liberali e i Verdi a segnare la svolta? I prossimi mesi ci diranno se così è.

 

Il 31 dicembre Weidmann lascerà l’ufficio dove ogni mattina si recava facendo a piedi tredici piani di scale. Il tempo di combattere l’ultima battaglia per un ridimensionamento del Programma di acquisto di titoli di stato della Eurobanca (Pepp) nel Consiglio di fine anno. Tuttavia, l’equazione  Weidmann-fine del braccio di ferro tra falchi e colombe nella Bce è ancora da verificare. La pandemia indubbiamente ha cambiato tutto e certi rigorismi appaiono fuori tempo. Ma il virus non durerà in eterno e chiunque il nuovo governo tedesco in formazione porterà alla guida della Bundesbank farà i conti con la cultura profonda della Banca, che è ordoliberale, monetarista, improntata a un rigore antico. Circolano vari nomi tra i possibili successori di Weidmann. È difficile trovare candidati papabili che marchino una cesura con il passato, l’accomodamento di Francoforte alla nuova vague della moneta facile. Potrebbe rispondere a questo identikit Isabel Schnabel, attuale membro del board della Bce indicata da Olaf Scholz, socialdemocratico ministro delle Finanze e probabile futuro cancelliere sostenuto da una coalizione a tre, chiamata semaforo.

 

Nella Eurobanca Schnabel è responsabile delle operazioni di mercato ed esercita dunque il controllo sul programma di Quantitative easing avviato da Draghi. Considerata di opinioni moderate, non si è mai espressa contro la politica monetaria accomodante della Bce. Claudia Buch, attuale vice di Weidmann, economista esperta di sorveglianza bancaria, ex componente dei Cinque Saggi il team di consiglieri economici della cancelleria su proposta dell’allora ministro liberale Philippe Roesler, è nota per avere sostenuto tre tesi da lei stessa definite “irrealistiche” in linea con Weidmann: l’ammissibilità degli eurobond nel quadro di una unione politica e fiscale, la mutualizzazione della quota di debito superiore al 60 per cento del Pil a fronte di rigorose condizioni in alternativa alla monetizzazione e l’illegittimità del Quantitative easing in quanto contrario al mandato della Bce. Buch rappresenterebbe la continuità. Il colore politico del futuro governo influenzerà la scelta del successore ma la logica che ha sempre guidato l’individuazione del nuovo governatore è quella della stabilità in un quadro di assoluta indipendenza dell’istituzione dalla politica e della politica dalla istituzione. Il ricordo della iperinflazione che devastò la Germania negli anni Venti quando un francobollo costava un miliardo di marchi è ancora vivo dalle parti di Francoforte. 

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