Foto Ansa

Il “falco” Weidmann lascia la Bundesbank proprio ora che torna l'inflazione

Stefano Cingolani

Gli scontri con Draghi, l’opposizione alla “droga” monetaria e l’ossessione per i conti in ordine, ma allo scopo di preservare l’euro. L’uscita di scena di Weidmann (insieme a Merkel e Schäuble) segna la fine di un’èra

Jens Weidmann lascia la presidenza della Bundesbank per ragioni personali, stando a quanto egli stesso ha comunicato due giorni fa al presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier e oggi in una lettera ai suoi collaboratori. “Dopo dieci anni, è il momento di cominciare un nuovo capitolo per me e per la banca”, così dice, ma era stato confermato nel 2019 e avrebbe potuto restare fino al 2027. Se ne va insieme alla sua madrina Angela Merkel, della quale è stato prima fidato consigliere e poi alleato leale anche se non sempre allineato. Molla la guida della banca centrale tedesca sconfitto, ma non domo. La Bce ha seguito un’altra strada, quella della moneta facile, ultra facile, contro la quale si è battuto inutilmente prima con Mario Draghi e adesso con Christine Lagarde che si è detta “immensamente dispiaciuta, sebbene Jens avesse opinioni nette sono sempre rimasta impressionata dalla sua ricerca di un terreno comune”. Con un’inflazione che in Germania supera  il 4 per cento, Weidmann “l’anti-Draghi” (un’etichetta nella quale non si riconosce, e probabilmente nemmeno Draghi) potrebbe godersi la rivincita come eroico profeta disarmato. Sarebbe un colpo di scena se toccasse proprio a lui la poltrona delle finanze nel “governo semaforo”, magari proposto dai liberali che vogliono il ritorno alla ortodossia, con bilanci in pareggio, tassi d’interesse più alti, la fine del quantitative easing che ha messo alla frusta le banche e le assicurazioni pilastro del Modell Deutschland e del suo welfare state. Fantapolitica? Con il nuovo parlamento, tra l’altro, dovrebbe andare in pensione anche Wolfgang Schäuble, l’ex potentissimo ministro oggi presidente del Bundestag, segnando così il tramonto della triade che ha segnato l’Europa nel decennio più duro.

Le dimissioni dalla Buba, come viene familiarmente chiamata, avranno effetto dalla fine dell’anno, così il nuovo cancelliere, con tutta probabilità il socialdemocratico Olaf Scholz, avrà il tempo di gestire la successione che non si presenta certo facile. Le parole con le quali Weidmann ha ringraziato il suo staff sono una sorta di viatico a coloro che verranno. “L’ambiente in cui operiamo è cambiato in modo massiccio e i compiti della Bundesbank sono aumentati. La crisi finanziaria, la crisi del debito sovrano e più recentemente la pandemia hanno portato a decisioni nella politica e nella politica monetaria che avranno effetti duraturi. Per me è sempre stato importante che la voce chiara e orientata alla stabilità della Bundesbank rimanesse fortemente ascoltabile. Con grande competenza, i dipartimenti hanno contribuito alle discussioni sulle giuste lezioni da trarre dalla crisi e sul quadro dell’unione monetaria. Sono stati adottati importanti cambiamenti normativi. La riorganizzazione della supervisione bancaria in Europa non solo ha portato a strutture di supervisione completamente nuove alla Bce, ma anche a un ruolo rafforzato della Bundesbank. Le nuove responsabilità della Bundesbank nell’area della stabilità finanziaria sottolineano anche il nostro ruolo centrale quando si tratta di un sistema finanziario funzionante”.

    

Weidmann ha sottolineato che la Bundesbank ha contribuito con fiducia, con la sua competenza analitica e le sue convinzioni fondamentali, al processo di revisione recentemente concluso. “E’ stato concordato un obiettivo di inflazione simmetrico e più chiaro (può salire o scendere attorno al 2 per cento, ndr). Gli effetti collaterali e in particolare i rischi di stabilità finanziaria devono essere presi in maggiore considerazione. Un superamento mirato del tasso d’inflazione è stato respinto”. Tutto dipenderà, a questo punto, da come questa strategia verrà gestita con le concrete decisioni di politica monetaria. “In questo contesto, sarà cruciale – ha proseguito – non guardare unilateralmente ai rischi deflazionistici, ma nemmeno perdere di vista i potenziali pericoli inflazionistici. Una politica monetaria orientata alla stabilità sarà possibile a lungo termine solo se il quadro normativo del’Unione monetaria continuerà a garantire l’unità d’azione e di responsabilità, la politica monetaria rispetterà il suo mandato ristretto e non si farà prendere dalla scia della politica fiscale o dei mercati finanziari. Questa resta la mia ferma convinzione personale, così come la grande importanza dell’indipendenza della politica monetaria”. Parole da europeista tedesco al quale va riconosciuta non solo competenza, ma passione. Non è vero, come ha scritto Paul Krugman, che abbia fatto di tutto per distruggere l’euro. Anzi, ha chiesto che, per difendere la moneta unica, occorreva un ministro delle finanze della Ue che impedisse alla banca centrale di compiere scelte che non le competono.

     

Nato nel 1968 (il 26 aprile a Solingen) Weidmann è l’esponente di una generazione che del Sessantotto non ha assorbito nemmeno il mito. Con la sua aria da secchione brillante, gli occhialini rettangolari di gran moda quindici anni fa, le camicie dal collo alla francese, le cravatte sempre appropriate e le giacche attillate, non assomiglia al burocrate fagottone dell’era Kohl e tanto meno allo stereotipo del tedesco in calzini e Birckenstock. Incarna piuttosto l’élite della nuova Germania, formatasi su entrambe le sponde del Reno. Il giovane Jens studia all’Università di Bonn e a quella di Parigi, svolge un internato alla Banca di Francia e riceve il dottorato in politica monetaria da Manfred Neumann, acceso sostenitore della Grecia fuori dall’euro. Dopo aver lavato i panni nel Potomac con un biennio al Fondo monetario internazionale, torna in patria e si distingue come ispiratore delle riforme che verranno realizzate da Gerhard Schröder, l’Agenda 2010. Weidmann è vicino alla Cdu, ma gli piace considerarsi un riformista trasversale, finché Angela Merkel nel 2006 lo chiama accanto a sé alla Cancelleria come principale consigliere economico. Quando arriva la grande crisi, è lui protagonista di primo piano nel salvare il sistema creditizio tedesco. Nel 2011 scoppia uno scontro tra la Kanzlerin e Axel Weber, presidente della Bundesbank che la Merkel avrebbe voluto candidare alla Bce per sostituire Jean-Claude Trichet. Proprio quel conflitto apre la strada a Draghi, mentre il vuoto alla Buba viene riempito da Weidmann, che sceglie la continuità. Con la Grecia si mostra inflessibile, ma non spingerà per una rottura. Lo stesso vale per l’Italia alla quale non offre scappatoie sulla politica fiscale e sul rispetto dei parametri, senza spingerla fuori dalla porta. Nel 2012 il gran rifiuto: Weidmann vota contro le Omt, Outright monetary transactions, insomma contro la svolta monetaria di Draghi e in un’intervista a Der Spiegel parla di “droga pesante”. Non è chiaro se la Cancelliera fosse d’accordo, certo è che Draghi si era consultato con Schäuble il quale, da consumato politico, aveva chiuso un occhio.

Weidmann ha accettato la nomina di Christine Lagarde alla presidenza della Bce con disciplina e amarezza. La sua candidatura per il dopo Draghi era stata lanciata con due anni di anticipo dal settimanale Der Spiegel, secondo il quale sia la Merkel sia Schäuble avevano deciso di proporre Weidmann e lui aveva accettato. In una intervista a Die Zeit il candidato in pectore si era schermito: sarebbe stato scorretto mettere in mora Draghi e di tutto poteva essere accusato tranne che di slealtà. Al contrario, gli è sempre piaciuto parlar chiaro. Lo ha fatto anche in Italia cinque anni fa quando su invito dell’ambasciatrice tedesca a Roma, Susanne Wasum-Reiner, ha pronunciato un discorso di razionale chiarezza, ricorrendo a metafore e parabole. A Matteo Renzi, allora capo del governo, ha rimproverato di non aver approfittato della bonanza monetaria, con tassi d’interesse persino sotto zero, per ridurre l’enorme debito pubblico accumulato. Ha apprezzato riforme come il Jobs act, ma non una politica di bilancio a suo avviso sostanzialmente lassista. Quanto a condividere i rischi nella zona euro, basta guardare all’assicurazione per la bicicletta. “Sostenendo la spesa dell’assicurazione si dovrebbe essere maggiormente indotti a parcheggiare la bicicletta sempre in cantina per prevenirne il furto. Di conseguenza diminuirebbero i furti e i premi diverrebbero sempre meno alti. Invece avviene il contrario. Quando mi sono recato presso il mio rivenditore di fiducia mi sono spaventato. Perché per una assicurazione che permetta la possibilità di parcheggiare la bicicletta la sera davanti alla porta di casa viene richiesto un premio così alto da potersi permettere ogni tre anni una bici nuova di zecca”. Con la pesca, o meglio l’almènda, “la tragedia dei beni comuni”, ha illustrato la sua visione: “Il sovrasfruttamento delle risorse ittiche da parte di un singolo pescatore riduce la disponibilità di pesci per gli altri e minaccia nel lungo periodo le stesse risorse. Un fenomeno simile accade in relazione ai debiti sovrani in una unione monetaria. Un elevato indebitamento pubblico a livello nazionale può risultare allettante agli occhi del singolo paese, tuttavia è nocivo per l’area dell’euro nel suo complesso”. 

    

Chi dopo Weidmann?

Ci sono in attesa economisti e banchieri più in sintonia con i nuovi equilibri politici, anche se nella Germania del dopo Merkel questi equilibri sono ancora precari. Se si sceglie la continuità potrebbe spuntare Sabine Lautenschläger che si è dimessa dal consiglio direttivo della Bce nel settembre 2019, come reazione all’arrivo di Fabio Panetta nell’esecutivo. O c’è l’ex capo economista Jürgen Stark, che aveva lasciato la Bce nel 2011. Scholz ha detto che finanze sane e stabilità monetaria sono due pilastri intoccabili. E non sembra disposto a rivedere i trattati europei, la partita più complessa che si gioca nell’area euro, nella quale Draghi si è già schierato chiedendo una riforma. Parametri come un debito pubblico al 60 per cento del pil e un deficit al 3 per cento, scelti trent’anni fa in modo politico se non proprio arbitrario, oggi sono inattuali. Nonostante le pressioni inflazionistiche che vengono dalle materie prime e dalla ripresa della domanda, l’economia europea non è tornata a una crescita solida e duratura, a cominciare proprio dalla Germania, quindi la contro-svolta monetaria è quanto meno prematura. Eppure il timore tedesco di abbandonare le vecchie regole senza aver trovato le nuove è fondato, soprattutto ora che lo spettro della stagflazione torna di nuovo ad aggirarsi nell’immaginario collettivo.

Di più su questi argomenti: