La diplomazia cinese degli ostaggi fa paura alle aziende straniere

Giulia Pompili

Rilasciati quasi contemporaneamente Meng Wanzhou, la vicepresidente di Huawei e figlia del fondatore del colosso delle telecomunicazioni cinese, e i due cittadini canadesi Michael Kovrig, ex diplomatico e ricercatore, e Michael Spavor, imprenditore

Per tre anni Pechino ha cercato di tenere separate e distinte due vicende. La prima è quella di Meng Wanzhou, la vicepresidente di Huawei e figlia del fondatore del colosso delle telecomunicazioni cinese, arrestata dal Canada tre anni fa su richiesta degli Stati Uniti, che la accusavano di frode e di relazioni con l’Iran.  La seconda vicenda è quella “dei due Michael”, entrambi cittadini canadesi: Michael Kovrig, ex diplomatico e ricercatore, e Michael Spavor, imprenditore molto noto per i suoi business tra Cina e Corea del nord, sono stati arrestati dai servizi di sicurezza cinesi pochi giorni dopo Meng, mentre si trovavano in Cina. Tutti e tre sono stati liberati sabato scorso, nel giro di poche ore e alla fine di un lungo percorso di colloqui diplomatici segreti. Meng Wanzhou è atterrata in Cina più o meno nelle stesse ore in cui i due Michael atterravano in Canada. Quello che somiglia tantissimo a uno scambio di prigionieri smentisce la propaganda cinese, che tramite il ministero degli Esteri per tre anni ha fatto sapere che i due cittadini canadesi erano “un pericolo per la sicurezza nazionale”, mentre il caso di Meng era un “arresto politico”.
 

Nei giorni scorsi la Cina ha puntato tutto sulla “liberazione” di Meng, che è stata accolta al suo rientro come un’eroina moderna: ha viaggiato su un volo di stato, è scesa dall’aereo a Shenzhen vestita di rosso accolta da decine di persone che sventolavano la bandiera rossa della Repubblica popolare cinese, poi si è avvicinata a un podio e ha pronunciato un discorso fatto di slogan: “Sono finalmente a casa!”, ha detto, e poi: “Dove c’è una bandiera cinese, c’è la luce della fiducia”; “se la fede ha un colore, quello è il rosso Cina”. Uno spot in mondovisione per il Partito comunista cinese e il suo leader Xi Jinping, ringraziato da Meng personalmente per essersi interessato alla sua questione. Pechino ha parlato poco della contestuale liberazione dei due cittadini canadesi, e ha fatto parlare soltanto gli organi di stampa più falchi e populisti, come il tabloid in lingua inglese Global Times che ha parlato di un “rimpatrio sanitario” dei due Michael, seguito però alla “loro confessione” dei reati. 


Per il presidente canadese Justin Trudeau la liberazione dei due concittadini è politicamente importante: da quando erano stati arrestati, nel dicembre del 2018, l’opinione pubblica canadese si era interessata sempre di più alle questioni legate alla Cina. Non sappiamo ancora i dettagli del lavorìo diplomatico che c’è stato nelle ultime settimane, ma probabilmente ha a che fare con quello che ieri sul Wall Street Journal James T. Areddy e Andrew Restuccia definivano “il momento del pragmatismo” nelle relazioni tra Cina, America e i suoi alleati più stretti. Secondo diversi osservatori occidentali, però, il caso dei due Michael è un precedente pericoloso e manda un segnale inequivocabile a Pechino: la diplomazia degli ostaggi funziona. 


“In un certo senso, la Cina ha rafforzato la sua posizione negoziale quando in futuro affronterà problemi simili a questo”, ha detto ieri al New York Times Donald C. Clarke, docente di Legge alla George Washington University. “I cinesi dicono: se fate le cose alle nostre condizioni, tutto si risolverà come concordato”. E non hanno “nemmeno finto” che non fosse una situazione di scambio di ostaggi: Michael Kovrig e Michael Spavor hanno trascorso tre anni agli arresti (in un luogo sicuro e mai rivelato, si parla di un hotel blindatissimo) senza che nessuno potesse incontrarli tranne, ma sempre più di rado, i loro avvocati, e alcune periodiche conversazioni virtuali con i rappresentanti diplomatici. Il processo a loro carico si è svolto solo qualche mese fa: Spavor è stato condannato il mese scorso a undici anni di carcere e Kovrig era in attesa di giudizio dopo un processo approssimativo celebrato a marzo (Meng ha goduto della libertà vigilata per tre anni, mentre i giudici canadesi valutavano la richiesta di estradizione americana). Il caso dei due canadesi è simile a quelli di altri cittadini stranieri imprigionati in Cina molto probabilmente per ragioni politiche e negoziali, alcuni per esempio coinvolgono cittadini australiani, non a caso uno dei paesi che più ha dato copertura mediatica al caso dei due Michael. Anche tra i rappresentanti delle grandi aziende europee che lavorano in Cina, adesso, c’è chi comincia ad avere paura dei metodi cinesi e a domandarsi se i bassi costi della produzione e l’accesso diretto al mercato cinese valgano il rischio.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.