In America

Quanto sono arrabbiati i vaccinati?

Paola Peduzzi

Salvate i non vaccinati da loro stessi, dice l'Amministrazione Biden, anche se il costo del salvataggio è sempre più alto per chi si è già vaccinato. Gli obblighi, i requisiti, le mascherine e due paradossi 

L’Amministrazione Biden sta di fatto chiedendo ai cittadini  vaccinati di salvare i non vaccinati da loro stessi: in America la percentuale dei non vaccinati è troppo alta e questo ha un impatto su tutta la popolazione, cioè anche i vaccinati dovranno portare il peso di questo ritardo. Rimettendosi la mascherina per esempio, se abitano in aree in cui il contagio è forte, come ha detto di fare il Centro di controllo delle malattie infettive (Cdc) nelle sue nuove linee guida. Accettando anche il fatto, e questo è il punto dolente, che i non vaccinati continuino a non metterla, la mascherina: tendono a non seguire mai le linee guida, perché dovrebbero farlo adesso?

Leana Wen, medico ed esperta di sanità che scrive sul Washington Post e compare sulla Cnn, ha sintetizzato bene la situazione: il sistema di fiducia e di disciplina che sta alla base delle decisioni del Cdc “non ha funzionato” e così i vaccinati “stanno pagando il prezzo per i non vaccinati”. La frustrazione è palpabile, anzi si parla esplicitamente di rabbia dei vaccinati contro gli esitanti, qualsiasi siano le loro ragioni: chiedono misure obbligatorie, responsabilità e fiducia non funzionano, hanno fallito.

Così molti ospedali e cliniche chiedono il vaccino obbligatorio, così come i college e le università, e come le aziende private che, a ritmi sempre più veloci, introducono il vaccino come requisito per continuare a lavorare. Accade soprattutto però nelle zone a prevalenza democratica, dove il tasso di vaccinazione è più alto: 400 college e università per esempio richiedono il vaccino per dare accesso al campus agli studenti, ma sono quasi tutti in stati che hanno votato per Biden. I governatori democratici stanno introducendo degli obblighi, come accade a New York e in California, mentre quelli repubblicani stanno appena iniziando a capire che potrebbe essere controproducente essere percepiti come quelli che hanno fermato la marcia verso la normalità (o che lasciano che muoiano i loro stessi elettori). In questo modo però si sta creando un paradosso: obblighi e mascherine ricadono più sui vaccinati che sui non vaccinati, cioè salvare i non vaccinati da loro stessi diventa invero faticoso e costoso – e la rabbia aumenta.

Alcuni studi hanno cercato di tracciare l’identikit del non vaccinato, per “provare a capirlo”, come ha scritto il sito Axios nella sua indagine. Si tratta più o meno del 30 per cento della popolazione (il 70 ha ricevuto almeno una dose), ma di questi circa la metà non ha potuto avere il vaccino: sono per lo più afroamericani e ispanici, per  loro le barriere all’entrata del sistema sanitario americano sono alte sempre e lo sono anche nel caso dei vaccini. L’altra metà è lo zoccolo duro dei non vaccinati, è tendenzialmente bianco, vive nel sud, vota repubblicano, non guarda i media mainstream e si fida poco o per niente delle istituzioni, dal Cdc allo stesso presidente Biden. Soprattutto non ama farsi dire dallo stato come deve comportarsi: la strategia della persuasione che in molti stati è diventata capillare e martellante a questi interlocutori suona come un’inaccettabile ingerenza e invadenza.   Quindi il paradosso è doppio: c’è una parte di popolazione che non segue né consigli né obblighi, che si sente discriminata e trattata inopportunamente dallo stato,  e che pur essendo una minoranza comporta un costo grande per tutti.   Il costo potrebbe essere ancora più alto, se è vero come stanno dicendo parecchi analisti che la riluttanza dei non vaccinati rallenta la ripartenza, raffredda l’esuberanza degli investitori e dei consumatori.

La rabbia dei vaccinati sembra così giustificata, ma esiste una rabbia “buona” o la politica della rabbia ha sempre un effetto complessivo negativo e pericoloso? Nel 2008,  l’irresponsabilità delle banche, degli istituti finanziari e dei loro manager causò uno choc economico profondo: la rabbia nei loro confronti e l’impoverimento causato da quella crisi furono il motore della più grande trasformazione politica di questo secolo, con l’ascesa dei populismi e dei nazionalismi che avevano al cuore dei loro messaggi il desiderio di vendicare delle ingiustizie. E per anni abbiamo cercato di comprenderla questa rabbia, considerandola giustificata, nel vano tentativo di domarla. Ora  ci ritroviamo a parti invertite e gli arrabbiati sono quelli che hanno rispettato le regole e gli obblighi di questo choc sanitario contro gli irresponsabili. E’ quindi una rabbia più giusta?

Pochi azzardano una risposta, intanto l’Amministrazione Biden chiede a chi ha il buon senso di usarlo in dosi extra per coprire anche chi non ce l’ha. Qualcuno suggerisce, come ha fatto il premio Nobel Richard Thaler, l’inventore del concetto di “nudge” (tra due mesi esce l’“edizione finale” del suo celebre libro con Cass Sunstein “Nudge”), di non struggersi sul patto sociale in crisi o sul fallimento del sistema di fiducia e responsabilità che tiene insieme la società. Molti sistemi di incentivi sono stati già messi in campo con buoni risultati, ma “il manuale del nudge” non è ancora stato applicato del tutto, ha detto Thaler in un’intervista all’Npr. Per uscire dal tunnel della rabbia, bisogna offrire un’alternativa a costi, mascherine, obblighi e passi indietro: bisogna imparare a disegnare l’immunità di gregge.
 

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi