La "sindrome Poulidor" della Francia delle disfatte

Jean-Pierre Darnis

La delusione agli Europei, i risultati disastrosi di Marine Le Pen ed Emmanuel Macron alle elezioni regionali. C'è un paradosso che collega tutte queste sconfitte e ci dice che sembra un ritorno al passato. E non è poi così male

La recente disfatta della nazionale di calcio francese contro la Svizzera ha colpito, ma  dietro l’evento mediatico, si celano una serie di paradossi che possono aiutarci a capire che tutto non è andato poi così male oltralpe. La disfatta sportiva prima di tutto ci riporta indietro, nell’ultima parte del Novecento, quando la Francia non riusciva a vincere nello sport malgrado le sue qualità. E’ stata spesso descritta come la “sindrome Poulidordal nome del  ciclista che si classificò cinque volte terzo e tre volte secondo al Tour de France, mai riuscendo a salire sul primo gradino del podio. Poulidor è diventato una leggenda in quanto falliva sempre per generosità o per sfortuna, e sembrava incarnare le virtù francesi. Anche la nazionale di calcio ha  illustrato il paradigma Poulidor, per  esempio quando fu eliminata dalla Germania nella semi finale della coppa del mondo del 1982. Per certi versi l’odierna disfatta ci rimanda a quel periodo di insoddisfazioni: a una Francia che compete bene ma non riesce a concretizzare. Si potrebbe dire che  non riesce ad andare fino in fondo  anche perché, magari, non lo desidera completamente.



La sequenza calcistica, però, non deve farci dimenticare le altre disfatte della settimana, quelle politiche. Le elezioni amministrative hanno segnato una sconfitta del Rassemblement national e di Marine Le Pen. Anche Emmanuel Macron subisce una disfatta, il suo partito La Republique en Marche, non soltanto non vince da nessuna parte ma  lascia spazio ai partiti tradizionali. Macron rimane popolare ma non riesce a radicare i suoi nel territorio: potrebbe essere un problema non per le presidenziali, ma per riuscire poi a ottenere una maggioranza compatta dopo le politiche del 2022. In pochi giorni abbiamo assistito a un tuffo nel passato: prima con le disfatte sportive, e poi la dicotomia fra gollisti e socialisti, architrave della quinta repubblica francese. La questione del ritorno al passato si esprime anche nel movimento intorno alla candidatura del giornalista-polemista Eric Zemmour. Alcuni suoi sostenitori hanno tappezzato lunedì scorso le province francesi di manifesti “Zemmour Président”, per fare crescere l’attesa della sua discesa in campo. Da anni Zemmour incontra un certo successo nei dibattiti televisivi dove propone la visione di una Francia che non sarebbe più all’altezza del suo passato. Vediamo come Zemmour incarna con forza un certo mix reazionario che seduce molti, anche considerando la durezza dell’epoca della pandemia.

 


 

La candidatura di Zemmour potrebbe essere un bel problema per Marine Le Pen che, già squalificata dalle sue contro-performance nelle varie elezioni, si trova di fronte un candidato movimentista capace di dirottare gran parte del suo elettorato, anche fra quelli che non si sono recati alle urne domenica scorsa. Pone poi una serie di problemi inediti in termini di calcoli politici, per valutare se può rappresentare un pericolo per Macron al secondo turno delle presidenziali (con un accordo possibile Zemmour/Le Pen) oppure contribuire a dividere l’estrema destra. 

 

Il contesto dell’attuale ritorno al passato, però,  non è completamente negativo. Prima di tutto ripropone la divisione destra/sinistra come perno di una certa vita politica. Inoltre, la consapevolezza della fragilità sportiva ha sempre costituito un freno al nazionalismo, come se l’affermazione assoluta della nazione Francia, e quindi una sua vittoria sugli altri, fosse quasi imbarazzante, anche in nome del bello e della ragione. Ci riporta all’espressione di una francesità melancolica, quella che evoca la potenza di idee mai completamente realizzate. Ed è lo sport che può rappresentare un simbolo di tutto questo. 

 

 

Domenica scorsa, quando la Francia andava alle urne per riproporre i partiti del passato, Mathieu van der Poel vinceva sul Mur de Bretagne la seconda tappa del Tour de France e prendeva la maglia gialla. Il giovane corridore olandese di 26 anni si è poi messo a piangere di fronte ai giornalisti mentre evocava la memoria del nonno. Van del Poel non è altro che il nipote di quel Raymond Poulidor che per decenni ha personificato la Francia. Oggi questo talentuoso discendente con passaporto olandese ripercorre le vesti dell’adorato antenato, riscrivendo la leggenda che rende l’essenza della Francia, il Tour, una storia condivisa di famiglia europea. Bellissimi paradossi che fanno sì che alcune disfatte sono anche delle vittorie, in quella che è stata una brutta settimana per i nazionalisti.