La Russia all'Eurovision è femminista, tagika e sembra gridare: questo è il futuro

Micol Flammini

Manizha Sangin è la rappresentazione canora di quella generazione irrequieta, patriottica e coraggiosa che vede nella tradizione imposta un modo per frenare un paese complesso, anziché governarlo

Non si capisce se sia stata una distrazione oppure se sia un viaggio nella macchina del tempo. La Russia all’Eurovision ha portato la candidata che forse meno rappresenta il sentire del Cremlino, la strada che il presidente Putin e i suoi hanno tracciato per il paese. Il futuro, quello disegnato dalla classe dirigente della Russia, è un’involuzione. Un canto di tutto ciò che fu, anche di quello che i russi avevano smesso di amare o non avevano mai amato, la difesa ingrigita dei lati contorti della storia, della tradizione, della società. Manizha, la cantante che rappresenta la Russia all’Eurovision, è il contrario di tutto questo. 

 


Il suo nome completo è Manizha Sangin, è nata in Tagikistan, è arrivata in Russia da piccolissima, e ha passato le selezioni con una canzone femminista che miscela rap, musica tradizionale russa e tagika. Rossetto, turbante in testa, costume popolare della sua terra di nascita, Manizha inizia a cantare e poi lo butta via. Sotto una tuta rossa con dietro scritto Russian women in cirillico. Salta, canta, si scatena, è un vulcano. E’ la rappresentazione canora di quella generazione irrequieta, patriottica e coraggiosa che vede nella tradizione imposta un modo per frenare un paese complesso, anziché governarlo.

 

La candidatura di Manizha all’Eurovision ha avuto molte critiche perché per la Russia la competizione che quest’anno si tiene a Rotterdam è un affare di stato. Quest’anno, sarà il Covid, saranno le proteste che hanno animato per qualche settimane le piazze russe, i custodi della tradizione si sono accorti tardi che alla competizione stavano mandando una cantante tagika, una femminista e un’attivista per i rifugiati. Sulla Komsomolskaya pravda è uscito un editoriale, molto condiviso nel mondo conservatore, in cui si diceva che Manizha non aveva alcun diritto di rappresentare la Russia. Può forse dirsi russa una ragazza nata in Tagikistan? Due organizzazioni hanno denunciato la canzone perché istigherebbe all’odio etnico. Alcune donne russe si sono molte arrabbiate: perché una tagika canta una canzone sulle donne russe? E’ forse una donna russa? La deputata Valentina Matviyenko ha addirittura chiesto un’indagine alla camera alta del Parlamento per verificare secondo quali criteri fossero state scelte la canzone e la cantante. La risposta è stata il televoto. I giovani in massa hanno voluto lei, hanno pensato che fosse l’artista che più rappresentasse loro e la Russia che hanno in testa.

 

 
La canzone è un inno femminista, Novaya Gazeta l’ha definita una dichiarazione di guerra ai tradizionalisti russi, è lo scontro tra vecchio e nuovo, due sistemi che in Russia hanno due punti di riferimento politici molto chiari: da una parte Putin, che è stato il nuovo e per questo è stato amato, dall’altra Alexei Navalny che ha tolto al presidente quella patente di novità, di innovazione. Sono due nazioni che corrono da due parti opposte e che in questo momento non riescono a trovare un modo per convivere. La prima alle urne è ancora la maggioranza – almeno così dicono i sondaggi nonostante il presidente abbia perso consensi – ma la seconda cerca la sua strada, ha le sue canzoni, i suoi inni e un leader in galera. Questa nuova Russia non ha ancora un programma politico ma sa  bene cosa non vuole essere e la candidatura di Manizha che dice alle donne russe, in inglese: “Ogni donna russa ha bisogno di sapere, sei abbastanza forte da poter rimbalzare contro il muro” e lo dice saltando, dimenandosi, rappando, è forse una piccola vittoria. E potrà dire: sul palco di Rotterdam portiamo un assaggio di futuro, non più quello che siamo stati, ma quello che vorremmo essere.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.