Idee

No, moderato non vuol dire insipido. Un manifesto progressista

Paola Peduzzi

Appunti per le sinistre occidentali firmati da un innominabile

Siamo in mezzo alla più grande rivoluzione dalla fine dell’Ottocento, una rivoluzione tecnologica di internet, dell’intelligenza artificiale, della quantistica, della genomica, della bioscienza, dell’energia rinnovabile, delle immagini satellitari, del modo in cui mangiamo, giochiamo, facciamo i pagamenti: ogni cosa, ogni sfera della nostra esistenza, il lavoro, il tempo libero e la qualità della vita, è soggetta a un potere trasformativo unico ed eccezionale. Come va usato questo potere, per controllare l’umanità o per renderla più libera? Per fornire opportunità a chi ora non ne ha o per dare ancora più ricchezza e opportunità a chi ne ha già molte? Questa è la sfida politica, sociale e culturale del nostro tempo, una sfida fatta su misura per le forze progressiste, che devono dare una risposta, senza schivare le questioni più dolorose per paura di perdere consensi o basi elettorali che comunque si sono già perduti: come è evidente, non serve continuare a perdere per dotarsi di una strategia e di una visione.

  

Le sinistre occidentali oggi sono divise in forze radicali che sono senza buonsenso e in forze di buonsenso che non sono radicali, e il risultato è che il progressismo oggi utilizza messaggi economici del passato (come “tassa e spendi”, dove la parte più promettente, la spesa, viene oggi attuata anche dai conservatori) combinati con un messaggio culturale e sociale che ruota intorno all’estremismo identitario “woke”. Il radicalismo batte il buonsenso perché il buonsenso spesso non vuole nemmeno entrare nella contesa, nega le guerre culturali, per paura di avere una opinione finisce per non averne nessuna, che si traduce in: non mi batto per niente. Eppure le persone amano il buonsenso, la proporzione, la ragionevolezza: non amano i pregiudizi, ma non amano nemmeno l’estremismo nel combattere i pregiudizi. La moderazione è considerata una virtù, è una virtù, anche se pochi lo dicono perché moderato oggi ha preso il significato di insipido. Dirsi moderati non basta, non è attraente, ma questo non vuol dire cedere all’estremismo o  lasciare il palco perché certe battaglie estreme non vanno combattute: è il contrario. Le destre hanno creato una nuova coalizione economica e culturale: ci sono delle derive, ma ci sono anche molti punti fermi. Invece le forze progressiste si dividono sempre più, si fanno test di purezza l’una con l’altra, test insuperabili, e un’intera generazione di talenti del progressismo non sa più dove collocarsi, non ha una casa (c’è il rifugio tutto verde ora, ma regge?). E invece che applicarsi allo psicodramma della creazione di nuovi partiti, eccezioni di eccezioni che manifestano soltanto l’incapacità di convivere, il movimento progressista dovrebbe unirsi, costruire una nuova coalizione culturale prima ancora che politica, una guerriglia moderata combattiva, che non abbia paura di combattere guerre che teme di perdere, ma che al contrario mostri i suoi vessilli, il suo logo, il suo slogan, il suo futuro. Riconoscibili, combattivi, uniti.
     

Questo è quel che ha scritto ieri sulla rivista inglese NewStatesman Tony Blair, ex premier laburista inglese. Andava citato subito il suo nome, ma gli odiatori di Blair forse non sarebbero arrivati a leggere fin qui, ed è un peccato perché questo manifesto progressista è anche per loro.  

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi