la piccola Macao

L'ambiguità geopolitica del Portogallo

È iniziato il summit sociale a Porto, uno degli appuntamenti più importanti della presidenza portoghese, che avrebbe voluto fare molto di più nel suo semestre ma che probabilmente si limiterà a controllare che tutti facciano i compiti con il Recovery

Valeria Manieri

Gli investimenti cinesi degli ultimi anni hanno fatto di Lisbona uno dei più forti sostenitori del Cai, l'accordo commerciale con Pechino. Ci si immaginava che Costa avrebbe tentato di rinsaldare ancora di più i rapporti tra Bruxelles e la Cina, ma i piani sono stati interrotti dallo stop degli europei

È iniziato a Porto il summit sociale, fortemente voluto in presenza dal premier Antonio Costa, come elemento caratterizzante di una presidenza portoghese che forse non poteva fare molto di più di quel che ha fatto. E cioè attendere che i paesi dell’Unione europea dessero il via libera ai rispettivi piani del Recovery, per poi ritrovarsi a ragionare, seppure in modo informale e con molte limitazioni, sulla dimensione sociale europea e sulla messa a terra dei piani nazionali. In fondo il Recovery Plan, a ben guardare, se usato bene, specie dai paesi meno virtuosi, può  essere una occasione unica per far rientrare “l’Europa sociale” al centro di un dibattito che pure sembra sentito dai cittadini europei, in un momento in cui sentirsi  nazionalisti e soli va un pò meno di moda. Forse il compito portoghese è proprio questo: capire se tutti stiano facendo i compiti a casa, per bene, in questa prima fase di ripartenza.

 

Torniamo però  proprio al paese lusitano, il ragazzo dapprima svogliato e malinconico, che dopo la prima crisi nel 2008 rischia grosso, si mette sotto e grazie a una concordia invidiabile tra partiti riesce a diventare un caso quasi unico in Europa. Quel ragazzo ancora oggi cerca di mantenere alta la propria reputazione, consegnando per primo il proprio piano di ripresa a Bruxelles, se la cava benino sulla campagna vaccinale e il contenimento dei contagi e dei morti Covid, riesce a dibattere di temi importanti e delicati come l’eutanasia e a fare licenziare dalle camere una legge dedicata anche in piena pandemia (poi bloccata dalla corte costituzionale e dal Presidente cattolico De Sousa, ma intanto se ne discute civilmente, cosa impensabile in Italia). Last but not least, il Portogallo è forse uno dei più interessanti hub geopolitici europei, a metà tra oriente e occidente.

 

Se da una parte a Bruxelles si raffreddano i rapporti con Pechino, con una importante e significativa battuta d’arresto sul CAI (Comprehensive Investment Agreement China-Eu) e si rinsaldano i rapporti con Washington, Lisbona compie, senza sbandierarlo ai quattro venti, un esperimento particolarissimo. Paese dalle più svariate e affascinanti contaminazioni culturali e genetiche, il lato atlantico della penisola iberica è uno sfegatato tifoso europeo dai fortissimi legami con la Cina. A tal punto che c’era chi immaginava che la presidenza del Consiglio della Ue a guida portoghese avrebbe rinsaldato ancora di più i rapporti tra Bruxelles e Pechino.  Questo al momento non è avvenuto. Probabilmente non per volontà portoghese, una volontà forse scavalcata dagli eventi. Lisbona potrebbe essere considerata una piccola Macao a parti invertite, direbbero i maligni. Ma andiamo a fondo. Le relazioni sino-portoghesi si sono fatte via via più forti negli ultimi 20 anni, specie quando si sono chiusi i negoziati per la restituzione di Macao alla Cina, nel 1999. 

 

La crisi del 2008 per il Portogallo è memoria recente: il paese aveva bisogno di tutte le risorse possibili per risollevare le sorti di una economia alla canna del gas e conti pubblici insostenibili. Da lì la decisione di privatizzare alcune importanti aziende di stato. I cinesi sono divenuti i principali azionisti di Energias de Portugal e della compagnia di assicurazioni Fidelidade. Vaso di pandora e opportunità che ha portato a ulteriori massicci investimenti in banche, turismo, assicurazioni, costruzioni, distribuzione e sanità, settore non proprio brillante. E poi ancora recentemente le aperture sul 5G e molto altro. Lo shopping di Pechino è stato ingente e la gratitudine portoghese è innegabile. Senza quegli investimenti e senza la volontà di riforme importanti perseguite con grande unità politica, il paese oggi sarebbe alla fame. 

 

Antonio Costa e il Portogallo sono ancora interessanti per Pechino. Merkel, impegnata sul fronte interno, non sarà presente a Porto, ma era stata proprio lei che con un exploit a fine presidenza tedesca del Consiglio Ue ad aver dato il via all’accordo sugli investimenti tra l’Unione e la Cina. Il Portogallo è tra i paesi che maggiormente sostengono il CAI. Tuttavia su questo lo stop di Bruxelles ora appare netto e Pechino non potrà approfittare della presenza di Costa, ormai a “fine turno”. Il tema dell’autonomia strategica dell’Ue era stata messa dallo stesso Costa in cima all’agenda della presidenza portoghese: a oggi il sospetto che essa possa ancora tradursi in un allontanamento dell’Europa dagli Usa e nel contestuale rafforzamento del rapporto con Pechino, sembra improbabile. 

 

Il Portogallo ha una dimensione ormai importante in Europa, è tra i primi tifosi di una Europa solidale e forte. Ma è anche un paese che ricerca continuamente stabilità economica e sociale, attraverso una forte proiezione extraeuropea, una identità atlantica che ha a che fare con l’ex impero coloniale ma anche, ormai, con la via della seta cinese e con Pechino stessa. Come il Portogallo potrà gestire questa ambiguità geopolitica sul fronte europeo e giocare le proprie carte sul piano internazionale, è tutto da scoprire. E forse, oggi, anche per Lisbona, la strategia è un po’ da rivedere. 

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