Edwy Plenel, ex direttore del Monde, noto per i suoi scoop e le sue inchieste, è il fondatore di Mediapart (Ansa) 

Il cane da guardia della République

Il gran successo di Mediapart, il giornale online più urticante di Francia

Mauro Zanon

Niente pubblicità, inchieste e contenuti digitali: "Solo i nostri lettori possono comprarci". I numeri e i tre pilastri della creatura di Edwy Plenel

Il 2020, nel mondo del giornalismo parigino, non è stato per tutti un “annus horribilis”. Nonostante la pandemia di Covid-19, c’è un giornale che ha mostrato uno stato di salute smagliante in occasione della presentazione del bilancio: Mediapart, il quotidiano online fondato dall’ex direttore del Monde Edwy Plenel, noto per i suoi scoop e le sue inchieste. “Non avremmo mai pensato di essere a più di duecentomila abbonati così presto. Pensavamo di arrivare a questi numeri, forse, dopo le presidenziali del 2022”, ha detto Plenel osservando le cifre da sballo del suo gioiello, a cui tutti davano vita breve quando nel 2008 aveva appena aperto i battenti, e di cui ora, invece, si parla con parecchia invidia.

 

Nel 2020, il numero di abbonati è cresciuto del 30 per cento (48.000 unità), portando Mediapart ad avere 220 mila fedelissimi che ogni giorno hanno accesso ai contenuti a pagamento. L’elisir di buona salute sta nel trittico che i giornalisti di Plenel ripetono a tutti quando vengono intervistati: niente pubblicità, niente sovvenzioni pubbliche, solo abbonamenti. Il balzo, anche in termini di fatturato, è stato incredibile: più 72 per cento di utile (4 milioni di euro) rispetto al 2019 (2,3 milioni), ossia l’equivalente del 20 per cento del volume d’affari, che oggi ha superato i 20 milioni ed è garantito al 98 per cento dagli abbonati. “La pandemia non ha avuto alcun impatto sui nostri ricavi perché Mediapart non ha pubblicità”, ha detto con orgoglio Marie-Hélène Smiejan, cofondatrice del quotidiano online. L’assenza di versione cartacea, inoltre, ha permesso al giornale di sfuggire alle “difficoltà della distribuzione”, ha aggiunto la Smiejan. Mediapart ha tredici anni, sta per entrare nell’età dell’adolescenza, e non ha mai smesso di guastare la festa a politici e uomini d’affari.

 

Alcuni lo hanno battezzato il “cane da guardia della République”, altri criticano i suoi metodi un po’ manettari e la facilità con cui Plenel fa scrivere ai suoi giornalisti “scandale d’État”, ma tutti riconoscono a Mediapart il merito di aver avuto un ruolo chiave in molti casi politico-giudiziari: dall’affaire Bettencourt nel 2010 all’affaire Sarkozy-Gheddafi nel 2012, dallo scandalo Cahuzac, che ha portato alle dimissioni del ministro delle Finanze di François Hollande per frode fiscale nel 2012-2013, al più recente affaire Benalla, l’ex bodyguard manesco di Macron. Nel 2020, l’inchiesta che ha generato più abbonamenti è “Masques: les preuves d’un mensonge d’État”, sulla gestione disastrosa dell’approvvigionamento di mascherine da parte del governo.

 

“Pensavamo che la serie pubblicata l’estate scorsa, ‘Le Squale, opérations secrètes’ su Bernard Squarcini (capo dei servizi segreti interni nel quinquennio Sarkozy, ndr) avrebbe fatto scalpore. Ma non è stato così, anche se ha rafforzato la nostra crescita”, spiega Plenel, prima di aggiungere: “L’inchiesta sulle mascherine è stata la prima sulle menzogne del governo, che continuano ad accompagnare la pandemia. Non ci sono automatismi. Ci sono scoop che soddisfano un’aspettativa”. Gli ottimi risultati del 2020 hanno permesso a Mediapart di aumentare gli effettivi della sua redazione da 69 a 118, con 60 donne e 58 uomini. “Il nostro indice di uguaglianza professionale tra donne e uomini è al 99 per cento. Per noi dovrebbe essere al 100 per cento”, afferma Marie-Hélène Smiejan. Mediapart ha anche creato un posto di responsabile alle questioni di genere per sorvegliare l’uguaglianza. Ma la cosa di cui va più fiera la banda di Edwy Plenel è lo slogan: “Solo i nostri lettori possono comprarci”.

 

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