Che cosa non torna nelle accuse contro Jeanine Áñez

Maurizio Stefanini

L'ex presidente della Bolivia è stata arrestata per "sedizione e terrorismo", gli stessi reati imputati a Morales che non ha più ruoli ufficiali ma rimane il leader del Mas. Il sospetto di brogli nelle elezioni locali

Se ne stava nascosta nel cassettone di un letto sommier, quando sabato è stata arrestata, Jeanine Áñez: presidentessa ad interim della Bolivia per quasi un anno, dal 12 novembre 2019 all’8 novembre 2020. Cioè, dalla fuga di Evo Morales  all’insediamento di Luis Arce.  “Questo è un abuso, come ex-mandataria ho diritto a un giudizio di responsabilità”, ha protestato. “Ci stanno accusando di essere complici di un supposto golpe, che è qualcosa che non ha né capo né coda. È una intimidazione assolutamente politica. Non c’è stato nessuno colpo di stato ma una successione costituzionale. Io ho assunto la presidenza per le rinunce che vi sono state”.  

 

 

Con lei sono stati arrestati anche i suoi ministri della Giustizia Álvaro Coímbra e dell'Energia Álvaro Rodrigo Guzmán, oltre all’ex-comandante della Marina ammiraglio Flavio Arce. Ma con l’accusa di “sedizione, terrorismo e cospirazione” venerdì la Procura Generale aveva dato l’ordine di arresto anche per gli ex-ministri  ad interim Yerko Núñez, Arturo Murillo e Luis Fernando López. Ma risultano tuttora latitanti, e anzi gli ultimi due stanno all’estero. Pure ordine di arresto è stato dato per gli ex-comandanti delle Forze Armate generali Williams Kaliman Romero e Sergio Orellana e per l’ex-comandante della Polizia generale Yuri Calderón, a loro volta latitanti. Domenica la Procura ha chiesto sei mesi di detenzione preventiva, per “rischio di fuga”. Una giudice ne ha accordati quattro 

 

“La persecuzione politica è iniziata”, aveva detto via Twitter Jeanine Áñez. “Non stiamo facendo nessuna persecuzione politica, non vogliamo intimorire chi la pensa in modo diverso”, risponde il Ministero del Governo. Evo Morales, che non ha più formalmente alcun ruolo ufficiale ma è il leader del partito di governo Movimento al Socialismo (Mas), e specifica che i responsabili del governo ad interim sono perseguiti per le  “36 vittimi, 800 feriti e 1500 detenuti illegalmente” di cui si sarebbe reso responsabile. In effetti le accuse di “sedizione e terrorismo” sono le stesse che erano state mosse a Morales.   

 

 

Parla di detenzione “arbitraria e illegaleCarlos Mesa, leader del principale partito di opposizione. Anche Human Rights Watch manifesta perplessità. Riconosce che  durante il governo della Áñez ci sarebbero state gravi violazioni dei diritti umani, “compresi due aberranti massacri”, e che è giusto farle un processo. Ma “rispettando le giuste procedure”: l’accusa di “terrorismo” non c’entra niente con queste imputazioni, e secondo Hrw sembra una rappresaglia all’identica accusa che era stata mossa a Morales, e contro cui la stessa organizzazione aveva infatti protestato. Anche dall’episcopato arrivano proteste, mentre Alto Commissario per i Diritti Umani dell’Onu, Commissione dei Diritti Interamericani dell’Osa, governo Usa e Ue chiedono a loro volta un “giusto processo”. 

 

 

La domenica prima degli arresti c’era stata una tornata di amministrative in cui il Mas ha perso in tutte le grandi città, anche se ha mantenuto la propria forza nelle campagne. A La Paz, in particolare, ha vinto Iván Arias, altro ministro della Áñez. A El Alto si è imposta Eva Copa: ex presidente del Senato e ora dissidente del Mas. A Cochabamba ha vinto l’ex capitano dell’esercito e leader della destra Manfred Reyes Villa. L’altro leader della destra Luis Fernando Camacho si è aggiudicato al primo turno il dipartimento di Santa Cruz, mentre la carica di sindaco di Santa Cruz municipio se la contendevano gli oppositori Gary Áñez y Jhonny Fernández. Alla fine è risultato vincitore Fernández, ma il rivale lo ha accusato di essere un “burattino” del Mas e che il governo aveva proceduto agli arresti appunto per distrarre l’attenzione dai brogli elettorali con cui si sarebbe “aggiustato” il risultato. 

 

 

Senatrice dello stesso partito di Mesa e di Gary Áñez, Cecilia Requena Zarate conferma al Foglio come effettivamente questo sospetto di un’azione giudiziaria clamorosa proprio per distrarre da possibili brogli elettorali è abbastanza diffuso. Dice anche che per ora la repressione si è abbattuta soprattutto sugli accusati di golpismo, ma denuncia che l’accusa di terrorismo è stata usata anche per il recente arresto di un dirigente giovanile delle proteste anti-brogli. Insomma, c’è il timore che questo sia solo l’inizio di una più generale stretta autoritaria.   

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