Gli Accordi di Abramo

Quanto sono belle da vicino “le relazioni normali” tra Israele ed Emirati

“Stiamo vedendo due ecosistemi che si fondono insieme”, e gli abitanti degli altri paesi guardano, si interrogano sulle loro alternative

Paola Peduzzi

Nel mezzo della pandemia, da quando è stato formalizzato il processo di normalizzazione delle relazioni, 130 mila israeliani sono andati negli Emirati. Una scuola di ebraico a Dubai e Abu Dhabi è stata “inondata”, scrive Friedman, di emiratini che vogliono studiare o fare business in Israele

Da settimane guardiamo increduli Israele e la sua efficienza nelle vaccinazioni, la velocità ma anche la possibilità di capire come e quanto funziona il processo di immunizzazione. Tra poco Israele va al voto, il quarto nel giro di poco tempo, e Benjamin Netanyahu sembra proiettato verso un’altra vittoria, nonostante gli affari giudiziari, nonostante l’incapacità di convivere troppo a lungo con partner politici, nonostante il muso duro, qualcuno dice trumpiano, con cui ha gestito il paese e le relazioni internazionali. Tra le pieghe di questo successo personale e politico non c’è soltanto la potenza del modello israeliano sui vaccini, per quanto sia sconvolgente: lì intorno a questo paese che vive in emergenza e che quindi sa gestire l’emergenza, sta accadendo qualcosa di straordinario. In altri tempi lo avremmo chiamato effetto domino, il contagio della democrazia: qui lo chiamano “normalizzazione”, e non ha nulla a che vedere con la ricerca della normalità in cui siamo impegnati tutti.  

 

Thomas Friedman, editorialista del New York Times esperto di politica internazionale, ha pubblicato un articolo splendido che racconta gli effetti degli accordi di Abramo, il patto costruito e reso possibile da Donald Trump che ha avviato il processo di normalizzazione tra Israele e i suoi vicini, uno alla volta, aspettando il colpo grosso, che ovviamente è un accordo con l’Arabia Saudita. Friedman si concentra sul rapporto tra Israele e gli Emirati arabi uniti (che è anche fortissimo sulle vaccinazioni, al secondo posto nelle classifiche) e lo fa senza guardare le dichiarazioni diplomatiche, senza citare aspettative o previsioni, ma badando alla vita quotidiana. I grandi cambiamenti sono sempre dettati da quelli piccoli, o meglio: dalla vita che diventa più libera, più piena di opportunità, più ricca anche.

  

Nel mezzo della pandemia, da quando è stato formalizzato il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati, a metà ottobre, 130 mila israeliani sono andati negli Emirati. Una scuola di ebraico a Dubai e Abu Dhabi è stata “inondata”, scrive Friedman, di emiratini che vogliono studiare o fare business in Israele. E’ stato siglato un accordo importante tra la Mekrot National Water israeliana e il governo emiratino per la desalinizzazione dell’acqua, questione molto sentita negli Emirati in cui l’acqua è una risorsa scarsa. I giornali israeliani raccontano di quanto va forte la cucina kosher negli Emirati, intervistano i cuochi, raccontano di una contaminazione culturale e di business appena iniziata, e promettente. “Se gli accordi di Abramo dovessero allargarsi e includere anche l’Arabia Saudita — scrive Friedman — staremmo parlando di uno dei più significativi riallineamenti nella storia moderna del medio oriente, che per decenni è stata dominata da interventi stranieri e dalla dinamica arabi-Israele. Non più”.

  

E’ su questa premessa che si basa l’effetto contagio: “Stiamo vedendo due ecosistemi che si fondono insieme”, dice Gidi Grinstein dell’istituto strategico Reut. E lo fanno non con la forza, come è sempre stato, ma con la tecnologia e l’innovazione, “l’acqua, l’energia solare, l’agricoltura, la medicina”. E gli Emirati, che pure restano una monarchia e che non hanno alcun barlume di politica democratica (la principessa Latifa di Dubai è tenuta prigioniera nel palazzo del padre, il capo dell’emirato e vicepresidente degli Emirati), hanno iniziato a permettere alle coppie non sposate di convivere, anche quelle omosessuali, a considerare reati i cosiddetti “delitti d’onore” praticati dagli uomini sulle donne, a rendere le leggi sul divorzio più eque per le donne. C’è ancora da fare moltissimo, ma gli altri paesi guardano, gli altri cittadini guardano. Friedman dice: se sei un libanese sciita che vivi nella periferia di Beirut e fai la fame, inizierai a chiederti perché devi stare sotto il giogo di Hezbollah (e quindi dell’Iran) mentre tutt’attorno c’è questa effervescenza di normalità. Sono queste domande che innescano i contagi, perché non succede sempre e da ultimo nemmeno spesso, ma l’ideologia perde di fronte alla voglia di libertà.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi