I rischi per il Papa

Le misure di sicurezza a Qaraqosh, la tappa più pericolosa del viaggio di Francesco in Iraq

Daniele Raineri

 

Qaraqosh, dal nostro inviato. Dal punto di vista di chi deve organizzare le misure di sicurezza il viaggio del Papa in Iraq è una sfida senza precedenti. In questo periodo gli attacchi e le attività dei terroristi sono a un livello minimo nel paese grazie alla vittoria di tre anni fa, ma il “livello minimo” in Iraq corrisponde in ogni caso a decine di operazioni terroristiche ogni mese. C’è da dire che queste attività sono molto localizzate, ci sono zone a rischio e altre no, ma sarà comunque un tuffo in un mare agitato – o una qualsiasi altra metafora a scelta per dire che un fattore di rischio c’è. 

  
Francesco arriva a Baghdad nel pomeriggio di venerdì e riparte lunedì mattina. Nel mezzo si sposta a nord a Mosul e nei dintorni per incontrare i cristiani perseguitati – quindi si troverà nella ex capitale dei terroristi dello Stato islamico e nell’area dove per ragioni storiche sono sempre stati più forti. Passerà molto vicino anche ai resti della moschea al Nuri, dove l’allora capo dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, fece un appello in video ai musulmani di tutto il mondo affinché si ponessero sotto il suo comando. La presenza del Papa attira l’attenzione dei media e quindi eccita chi progetta di compiere azioni spettacolari. La visita è anche un premio simbolico alle comunità cristiane dopo questi anni di persecuzioni e attacchi, ma annulla le difficoltà logistiche per le cellule di estremisti: adesso non ci sono più migliaia di chilometri da superare, soltanto decine. 

  
Alex Almeida è uno specialista di sicurezza che lavora in Iraq e nel Kurdistan iracheno per Horizon (che fornisce consulenze alle grandi compagnie energetiche), ha analizzato i rischi di questo viaggio papale e dice al Foglio che il punto più pericoloso della visita sarà la tappa di domenica mattina a Hamdaniyah /Qaraqosh, a venti minuti di macchina da Mosul. Si tratta dell’incontro con i cristiani nella cattedrale di Santa Maria al Tahira, che è stata semidistrutta dallo Stato islamico nell’estate 2014 e poi è stata rimessa a nuovo. L’esperto però spiega a sorpresa che in questo caso il rischio non viene dallo Stato islamico, ma dalla rivalità fra milizie locali. “Molto probabilmente le milizie Shabak proveranno a fare qualcosa. Probabilmente non un attacco diretto all’entourage del Papa, ma forse qualche colpo di mortaio sul vicino checkpoint della milizia cristiana poche ore prima della sua visita, o un attacco con una bomba su un veicolo di scorta di sicurezza iracheno, se si sentono ambiziosi”. Le milizie Shabak sono formate dai combattenti sciiti di quella zona che odiano, ricambiati, le unità di protezione cristiane della piana di Mosul. Hanno combattuto assieme contro gli estremisti ma oggi sono impegnate in una contesa aggressiva. Gli sciiti potrebbero decidere di mettere in imbarazzo i loro nemici e poi attribuire l’operazione allo Stato islamico. “Lo hanno già fatto, per avere la scusa di rafforzare i controlli e le misure di sicurezza nell’area di loro competenza”. 

 
Andiamo a Qaraqosh (che si chiama anche Hamdaniyah. O Baghdeda. E’ una terra con molte identità). Per arrivare alla cattedrale si passa su una strada unica che è controllata dagli sciiti – e a ogni palo c’è appesa una bandierina nera, per ricordarlo a tutti. Ci sono anche ritratti giganti del generale iraniano Qassem Suleimani, il patrono delle milizie ucciso nel gennaio 2020 da un drone americano. Proprio da qui a novembre è partito un attacco con razzi contro Erbil, perché le milizie stanno diventando sempre più aggressive anche nella parte nord del paese.

  
Poi si prosegue su  una strada unica e dritta che attraversa le case di Karamlesh, dove sulla destra c’è una chiesa iconica perché il video dei fanatici dello Stato islamico che buttavano giù la Croce dalla sommità della sua cupola aveva fatto il giro del mondo. Infine si arriva a Qaraqosh, la cattedrale è in mezzo ad alcune viuzze e i muratori con una gettata di cemento stanno smussando uno scalino in modo che la macchina del Papa non debba sobbalzare quando entrerà nel vicolo che porta ai gradini d’ingresso. Sulla strada principale già s’incolonnano in parcheggio i blindati dei soldati iracheni e alle macchine resta una corsia sola. Domenica qui sarà tutto bloccato a eccezione del convoglio di Francesco. 

   
Almeida spiega che c’è la possibilità che le milizie sciite vogliano mettere in imbarazzo i curdi e approfittino dell’attenzione globale per qualche attacco mentre il Papa è a Erbil, capitale della regione curda. Non un bombardamento con i razzi come quello di lunedì 15 gennaio, venticinque ordigni caduti sull’aeroporto e più o meno a caso anche in città, perché non c’è precisione e il rischio è troppo alto. Forse qualche attacco con mortai e con missili lungo i confini della zona curda, per sfruttare la ribalta, o contro qualche bersaglio della Coalizione internazionale. Si parla di azioni di disturbo con significato politico, non di attacchi diretti contro Papa Francesco. 

 
C’è anche la possibilità di attentati dello Stato islamico a Erbil, dove nel pomeriggio di domenica il Papa celebrerà la messa nello stadio della città “per diecimila persone” – sempre che non arrivi prima un lockdown dichiarato dalle autorità locali. “Il loro network in quella zona è stato molto indebolito – dice Almeida – ma potrebbero usare una cellula locale di terroristi curdi per un’operazione molto rozza”. In questo caso non sarebbero azioni aggressive di disturbo, ma del tipo di attacchi che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Le opzioni sono varie, ma “una bomba sarebbe più probabile”. Anche messa dentro un cestino della spazzatura sulla strada che la gente farà per andare allo stadio. Non occorre nemmeno fare vittime,  “l’attacco non ha bisogno di essere un successo per generare l’ondata di attenzione di cui hanno bisogno”. Gli ufficiali iracheni sentiti dal Foglio per parlare dei preparativi per  l’arrivo del Papa preferiscono non parlare delle misure di sicurezza.
   

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)