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La telefonata Draghi-Merkel e il futuro dell'Unione

Marco Cecchini

La Cancelliera, in uscita, e’ preoccupata per il Recovery e vuole mettere al sicuro la sua eredità

E’ in Germania che si gioca la partita clou dell’Europa, mentre il “regno” di Angela Merkel si approssima al capolinea. Quando nel pomeriggio di una settimana fa il cellulare di Mario Draghi ha squillato, il presidente del Consiglio non si è sorpreso che a chiamare fosse la Cancelliera. Le telefonate tra Merkel e l’ex presidente della Bce non sono infrequenti ed è noto che tra i due premier esiste da tempo un collaudato rapporto personale. La sorpresa ha riguardato piuttosto altro. Secondo fonti di Berlino, in quaranta minuti di conversazione Merkel, che dopo 16 anni lascerà il suo ufficio minimalista al Bundeskanzlerhamt in settembre, avrebbe condiviso con Draghi le sue preoccupazioni sul fronte cruciale del Recovery plan europeo, oltre che naturalmente sulle problematiche della lotta alla pandemia. Merkel sa che il piano di rilancio dell’Unione europea è un’operazione a rischio di insuccesso e lo vuole evitare. Durante la presidenza di turno tedesca del Consiglio europeo, nella seconda metà dello scorso anno, la Cancelliera ha messo tutto il peso del suo capitale politico al servizio di un’Europa più integrata e solidale, un’Europa attrezzata a far ripartire l’economia prostrata dalla pandemia.

 

L’emergenza sanitaria e l’asse con Emmanuel Macron l’hanno certamente “aiutata” a superare le resistenze esistenti dentro e fuori del paese al varo del Next Generation Eu (Ngeu), di cui il Recovery plan è il cuore finanziario. Ma la sospensione secca delle regole del Patto di Stabilità, l’emissione di debito comune e l’erogazione ai paesi in maggiore in difficoltà di ingenti finanziamenti a fondo perduto a carico del bilancio dell’Unione sono soprattutto frutto della correzione di rotta impressa al tradizionale rigorismo tedesco da una Merkel in uscita, e dunque non più vincolata da esigenze di consenso interno.

 

In linea di principio il prossimo passo da compiere sarebbe l’avvio di un’unione fiscale. Prima occorre però che il Recovery plan europeo dimostri di saper adempiere alla missione per la quale è stato creato. Le cronache riferiscono invece di una lentezza nelle procedure, un parziale ricorso da parte di alcuni paesi alla capacità di erogazione del Fondo, difficoltà a soddisfare i requisiti richiesti da Bruxelles per l’accesso ai finanziamenti, tutte cose che alla fine potrebbero compromettere l’operazione rilancio. In questione non c’è il piano italiano che con Draghi viene considerato in buone mani. Il problema è più generale. La Cancelliera sarebbe perfino disposta a introdurre correttivi ai meccanismi di funzionamento del Recovery se necessario, anche se il suo regolamento è stato approvato solo pochi giorni fa, perché “se c’è la volontà politica tutto è possibile”, dice una fonte diplomatica. Angela Merkel ha fretta di mettere in sicurezza la sua eredità di statista europea.

 

   

 

La Cancelliera sa che oggi può contare sul triangolo con Macron e Draghi. Ma sa anche che l’anno prossimo Macron deve superare una difficile prova elettorale mentre per Draghi è sempre in agguato la cronica instabilità italiana. Inoltre anche lo scenario tedesco presenta incognite. Tra due settimane la Germania entrerà virtualmente in campagna elettorale con le elezioni nei Land del Baden-Württemberg e della Renania-Palatinato. Dopo sarà la volta di altre quattro regioni prima dell’appuntamento chiave del 26 settembre per il rinnovo del Bundestag. Il congresso della Cdu, svoltosi in forma virtuale lo scorso gennaio, ha designato come successore alla segreteria del partito il presidente del Land della Renania-Westfalia, Armin Laschet, che con ogni probabilità sarà anche il candidato cancelliere alle elezioni di settembre (la decisione sarà presa dopo Pasqua).

 

I sondaggi più recenti attribuiscono alla Cdu una quota in forte rialzo pari al 37 per cento dei consensi. Seguono i Grünen, il partito dei Verdi ormai approdato a posizioni centriste, quindi la Spd accreditata del 15 per cento e l’estrema destra di Afd, ferma al 10 per cento. La maggior parte degli osservatori ritiene probabile che con questi numeri si vada alla formazione di un governo sostenuto dai democratici cristiani e dai Verdi. In linea di principio si tratterebbe di un esecutivo all’insegna della continuità con la politica europea di Merkel. Laschet, presidente del più popoloso e più ricco Land tedesco con un pil di 700 miliardi annui, ex parlamentare europeo, fautore del principio di solidarietà tra gli stati, non contrario sulla carta alla mutualizzazione del debito appare l’uomo giusto per raccogliere l’eredità della Cancelliera. I Verdi, protagonisti di una forte ascesa dopo il successo ottenuto nelle ultime elezioni, non sono più il partito di esclusiva testimonianza ambientalista e si sono evoluti in moderno partito di centro che raccoglie consensi tra i giovani e la borghesia urbana. Ma sia nel caso della Cdu sia in quello dei Verdi si tratta di leadership che dovranno dimostrare sul campo la loro caratura e la loro capacità di portare la Ue verso i nuovi traguardi. Tutte valide ragioni per concludere che l’Europa non si può permettere, dopo la pandemia, un’impasse sul piano di ripresa e resilienza.