Ahmed Djalali (foto via Amnesty International) 

Contro l'esecuzione “imminente” di Ahmed Djalali

Ricercatori e scienziati a rischio in Iran

L’accusa contro lo scienziato iraniano naturalizzato svedese è di spionaggio a favore di Israele. Lui dice di essere stato punito perché ha rifiutato di fare la spia per conto dell’Iran in Europa. Molti temono che il regime voglia utilizzare la sua esecuzione come vendetta per l’uccisione di Fakhrizadeh

Ahmed Djalali è stato condannato a morte in Iran nell’ottobre del 2017 per aver “seminato corruzione sulla terra”, c’è scritto nella sentenza: l’accusa era di spionaggio a favore di Israele. Il 24 novembre scorso, Amnesty International ha fatto sapere: “Siamo orripilati dalla notizia che le autorità iraniane hanno dato ordine di trasferire Ahmadreza Djalali in isolamento e di eseguire la condanna a morte non oltre una settimana da oggi”. La fonte della  notizia è la moglie di Jalali.

     
Jalali, 49 anni, è uno scienziato che si occupa di medicina delle catastrofi. è iraniano naturalizzato svedese, ha svolto le sue ricerche in Svezia, in Belgio e anche al Crimedim di Novara,  ha pubblicato molte analisi sui livelli di preparazione delle strutture ospedaliere europee in caso di catastrofi. E’ stato arrestato nel 2016 mentre partecipava a un seminario all’Università di Teheran (che lo aveva invitato), dopo due settimane di detenzione senza poter dare notizie è stato accusato di spionaggio per conto di Israele, costretto – con torture e minacce – a confessare in filmati che sono stati trasmessi in tv e infine condannato a morte. Lui ha detto di essere stato punito perché si era rifiutato di fare la spia per conto dell’Iran in Europa. Le sue condizioni di salute sono peggiorate durante la detenzione a Evin ed è dal 2018 che le Nazioni unite, il Parlamento europeo, gli istituti scientifici per cui Djalali ha lavorato, molte associazioni per i diritti umani e anche 121 premi Nobel si battono perché venga prima curato e poi liberato. Molte organizzazioni, non da oggi, consigliano a scienziati e ricercatori di non andare in Iran perché potrebbero essere catturati e utilizzati negli scambi di prigionieri. E’ accaduto qualche giorno fa:  Kylie Moore-Gilbert, ricercatrice anglo-australiana di 33 anni, è stata liberata in cambio di tre cittadini iraniani detenuti in Thailandia: erano accusati di aver partecipato a un tentato attacco contro obiettivi israeliani a Bangkok.

   

Nelle ultime ore, gli appelli e le  richieste a Teheran sono aumentati: molti temono che il regime iraniano voglia utilizzare l’esecuzione di Djalali come la vendetta per l’uccisione dello scienziato-padre della bomba atomica iraniana, Mohsen Fakhrizadeh.