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Brexit e pandemia: è la fine di Londra-città-cosmopolita? Appunti per la sopravvivenza

Gregorio Sorgi

Abbiamo fatto qualche chiacchiera con esperti e commentatori per capire come cambierà la capitale inglese. Alcuni cliché possiamo scordarli, ma ci sono due scommesse rilevanti

Londra. Durante il lockdown le strade di Mayfair, uno dei quartieri più esclusivi di Londra, sono state insolitamente silenziose. I grandi uffici si sono svuotati, i locali alla moda hanno chiuso e i ristoranti si sono rassegnati a offrire solo cibo da asporto. Le biciclette elettriche e i monopattini si sono impadroniti delle strade dove un tempo sfrecciavano le macchine sportive. Mayfair è un simbolo del soft power di Londra, e rappresenta l’evoluzione della città negli ultimi decenni. Il quartiere conta appena 5.100 residenti provenienti da 42 paesi ma normalmente viene frequentato da circa 85 mila persone. Il lunapark di Mayfair offre ogni genere di divertimento – bar alla moda, club esclusivi, discoteche – ai miliardari di tutto il mondo. Ma il lockdown da cui la Gran Bretagna ancora non è uscita ha fatto sprofondare l’economia del quartiere. Gli uffici, ristoranti e bar sono chiusi da mesi, e i pochi residenti se ne sono tornati nei loro paesi di origine. Anche i camerieri e gli inservienti che ogni giorno si recavano a Mayfair hanno trascorso il lockdown a casa, ricevendo ogni mese l’ottanta per cento dello stipendio dallo stato. Quasi 250 mila londinesi sono scappati in fretta all’inizio del lockdown – quando il governo predicava l’immunità di gregge – e in molti si chiedono quando torneranno.

 

Il coronavirus ha messo in discussione il modello su cui Londra ha costruito la propria ricchezza ed è diventato un marchio globale. La città è rinata agli inizi degli anni Ottanta, quando le liberalizzazioni dell’allora governo Thatcher incoraggiarono molte multinazionali a trasferirsi dall’estero. Questo ha innescato un circolo virtuoso. La città ha iniziato ad attrarre i miglior talenti al mondo, che hanno fatto nascere nuove aziende, start-up, musei e luoghi di intrattenimento. L’economista Douglas McWilliams ha dato un nome a questo fenomeno: la flat white economy, in onore di una bevanda al caffè diventata un marchio di fabbrica della cultura hipster. La sua tesi è che l’aggregazione tra giovani provenienti da tutto il mondo è il grande valore aggiunto della città: dà vita a nuove idee, crea ricchezza e fa rinascere interi quartieri. Questo meccanismo consente a Londra di eccellere in vari campi – arte, cultura, finanzia, istruzione – e sopravvivere a ogni crisi.

 

Però la flat white economy è un’arma a doppio taglio nell’epoca del distanziamento sociale. Da un lato, significa che la città resterà un luogo attraente anche se gli uffici delle grandi aziende rimarranno chiusi a lungo. Pur lavorando da remoto, i giovani di tutto il mondo vorranno continuare ad andare a Londra. “Le persone si trasferiscono in questa città perché la trovano un bel posto in cui vivere”, dice al Foglio Simon Jenkins, editorialista del Guardian e autore di un libro sulla storia di Londra: “La qualità della vita ha poco a che fare con il lavoro. Ci si può divertire a Londra anche senza andare in ufficio ogni giorno; la gente ama andare alle feste, al pub, al ristorante. Lavorare da remoto è più piacevole dato che gran parte dei londinesi ha un giardino a casa, molto più che in ogni altra grande città. Per questo sono convinto che presto Londra si rialzerà, così come si è rialzata da ogni altra crisi”.

 

Tuttavia, alcuni temono che la ripresa sarà più lunga del previsto. Molte città europee sono già sono tornate alla normalità, mentre Londra continua a vivere una situazione singolare. I numeri del contagio sono calati drasticamente, ma i londinesi non hanno ancora pienamente riacquisito le loro libertà. Il governo ha imposto delle regole ferree – al momento si possono incontrare massimo sei persone all’aperto – ma non ha previsto delle precauzioni minime, come l’obbligo della mascherina. Domenica scorsa il ministro della Salute Matt Hancock ha ammesso per la prima volta che le mascherine chirurgiche possono ridurre la trasmissione del virus, dopo che i consulenti scientifici del governo avevano a lungo sostenuto il contrario. Il timore è che quest’eccezionalismo britannico possa paralizzare la vita sociale londinese e ridurre l’appeal di una città proiettata verso il resto del mondo. E’ difficile riavviare la flat white economy quando devi fare la fila per mangiare un gelato e lasciare le generalità all’entrata del pub (questa potrebbe essere una delle condizioni della riapertura). A fronte di un netto calo negli indici di trasmissione, il governo si è convinto a ridurre il distanziamento sociale da due metri a uno a partire dal 4 luglio. Questa scelta simbolica, che segna l’inizio di un graduale ritorno alla normalità, è stata accolta come una benedizione dagli imprenditori. Per molti ristoratori e albergatori quello che appare un dettaglio tecnico è in realtà una questione di vita o di morte. “Un metro di distanziamento significa un milione di posti di lavoro”, aveva detto senza mezzi termini il manager di una delle più grandi catene di pub in una riunione virtuale con i suoi dipendenti. Se il governo non avesse fatto questa concessione, molte attività commerciali sarebbero rimaste chiuse posticipando ulteriormente i tempi della ripresa economica.

 

Nel frattempo, anche l’offerta culturale di Londra è stata paralizzata dal lockdown e non è nemmeno vicina alla ripartenza. Gli eventi pubblici ad alto rischio di contagio – come fiere, mostre e conferenze – verranno svolti in rete almeno per i prossimi mesi. La Tate Gallery, così come molte altre gallerie d’arte, riaprirà a metà agosto e accoglierà solo il 30 per cento dei visitatori. Per le grandi strutture sono previsti tempi ancora più lunghi, in alcuni casi resteranno chiuse fino ad aprile 2021. Di questo passo, molti stranieri ci penseranno due volte prima di tornare a Londra. L’idea di pagare affitti stellari – il doppio rispetto al resto della Gran Bretagna – senza potere usufruire dei vantaggi della città non è una prospettiva allettante. Come ha ammesso il sindaco Sadiq Khan in un’intervista al Sunday Times, il divertimento e la cultura “sono ciò che rende Londra una città più attraente rispetto a Berlino, Francoforte, Parigi e le altre metropoli. E’ importante che il governo capisca che potremmo perdere questa ricchezza. In questo caso, non siate sorpresi se le aziende se ne andranno dopo la Brexit”.

 

A differenza di molte altre città, la ripartenza di Londra dipenderà dall’eventuale ritorno dei cittadini stranieri che rappresentano un terzo della popolazione. Negli ultimi dieci anni circa 550 mila inglesi hanno lasciato la capitale, ma il numero di abitanti ha continuato a crescere grazie all’immigrazione dall’estero. Londra non potrà riprendersi completamente finché non rientreranno le persone fuggite all’inizio del lockdown, e finché non verrà riattivato il settore del turismo che conta 30 milioni di persone all’anno. “Penso che Londra tornerà a essere una capitale globale, ma potrebbe impiegare più del previsto”, spiega Richard Brown, vicedirettore del Centre for London: “Le chiamate su Zoom e le teleconferenze non dureranno in eterno. A un certo punto gli studenti stranieri torneranno a frequentare le università inglesi e i manager di tutto il mondo si incontreranno di nuovo a Londra. Ma non sappiamo quando si ritornerà alla normalità; questo dipenderà sopratutto dal governo”. E i primi segnali non sono incoraggianti. La decisione di imporre una quarantena di 14 giorni per chiunque arriva dall’estero, l’ennesimo esempio dell’eccezionalissimo britannico, ha scontentato tutti. Le compagnie di volo hanno fatto causa al governo, e ritengono che la possibilità di introdurre “corridoi aerei” tra la Gran Bretagna e altri paesi europei sia una soluzione debole. Anche gli albergatori sono sul piede di guerra, dato che non potranno riaprire del tutto finché non verrà abolita la quarantena. Molti hotel londinesi hanno informato i loro dipendenti che dovranno restare in cassa integrazione almeno fino a inizio agosto, quando le strutture dovrebbero iniziare a riaprire. Ma molte persone che operano nel settore stimano che gli affari non torneranno alla normalità prima della fine del 2020. Nel frattempo alcuni alberghi pensano di licenziare dal 20 al 50 per cento dei dipendenti, e i lavoratori stranieri potrebbero essere le prime vittime. “I membri del personale che hanno lasciato il paese e non sono disposti a tornare immediatamente non verranno riassunti”, spiega una nota interna indirizzata ai dipendenti di un grande albergo, che si prepara a licenziare sette lavoratori al momento della riapertura.

 

In molti temono che questa crisi inaspettata, sommata alla Brexit, possa danneggiare per sempre l’immagine cosmopolita di Londra. Jo Johnson, fratello del premier e parlamentare conservatore, è convinto che le università britanniche siano la soluzione: devono tenere accesa la fiamma della Global Britain, e continuare ad attrarre i migliori studenti provenienti da tutto il mondo. Ma gli atenei britannici pensano di svolgere le lezioni online per gran parte dell’anno prossimo, riducendo il loro appeal globale. Il Guardian stima che il numero di studenti stranieri calerà di un terzo – attualmente sono 450 mila di cui 100 mila solo a Londra – e prevede che molti ragazzi seguiranno i corsi dal proprio paese. “Le università londinesi sono delle istituzioni globali, e contribuiscono molto al soft power della città”, spiega Brown: “Per loro la pandemia rappresenta un punto interrogativo, e potenzialmente una minaccia esistenziale. Se verrà trovato un vaccino entro fine anno, le conseguenze economiche saranno tollerabili. Altrimenti si tratterà di una crisi seria”. Gli atenei sono un business molto redditizio e comportano un grande indotto per tutta la città. Le rinunce degli studenti stranieri potrebbero comportare una perdita di oltre due miliardi, mandando in crisi tutto il sistema.

  

Di fronte a queste previsioni catastrofiche, alcuni provano a vedere sprazzi di ottimismo. Il sindaco Khan ha spiegato che un evento tragico come il virus può essere una grande occasione per trasformare la città in chiave ecologista, riducendo l’uso delle macchine e aumentando i viaggi in bicicletta. Molti urbanisti sono convinti che il lockdown possa anche bilanciare le disparità economiche tra diverse aree della città. Il lavoro da remoto significa che i londinesi trascorreranno più tempo nei quartieri residenziali e periferici, favorendo le attività locali. Secondo il direttore del Centre for London, Ben Rogers, il lockdown farà calare il prezzo degli affitti a Londra e di conseguenza l’età media della città. Gli anziani si sposteranno in campagna mentre i giovani andranno a vivere in case che fino a poco fa non si potevano permettere. “La più grande differenza riguarda i negozi, che sono destinati a scomparire”, dice Jenkins: “Questi verranno sostituiti da luoghi di aggregamento, come bar, pub e ristoranti, che renderanno la città più vivibile. Penso che le grandi strade dello shopping come Oxford Street saranno un ricordo del passato”. I grandi conoscitori di Londra sono molto ottimisti sulle possibilità di rinascita. Si rifiutano di credere che la città sia destinata a un lento tramonto e che il suo primato globale verrà insidiato da altre metropoli. Londra è sopravvissuta al Blitz del 1940, alla crisi del 2008 e finora è andata avanti nonostante la Brexit. “Non dobbiamo sottovalutare lo spirito di sopravvivenza di questa città – conclude Jenkins – Qualunque cosa accade alla Gran Bretagna, Londra riesce sempre a tirarne fuori il meglio”.

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