A gennaio in Africa orientale sciami di cavallette hanno devastato ettari di raccolto (foto Ap)

E ora le locuste

Maurizio Stefanini

Dall’Africa fino alla Sardegna, ci mancava l’invasione delle cavallette. L’ottava piaga d’Egitto che rovina i raccolti e manda brutti segnali

E adesso, ci si mettono pure le cavallette. Oltre 7 milioni di persone sono stati contagiate da una pandemia che ha fatto oltre 400 mila morti, e che per di più ha portato il mondo a uno stato di recessione e distruzione economica quale non si vedeva dalle due guerre mondiali. Con oltre 2 milioni di contagi e 113 mila morti, gli Stati Uniti inoltre sprofondano in una crisi di sommosse in seguito all’uccisione di George Floyd. La Russia di Vladimir Putin a sua volta, con quasi mezzo milione di contagi, sta per di più vivendo un gravissimo incidente che è quasi una Chernobyl dell’Artico, e che rischia di inquinare in modo irrimediabile i fiumi siberiani. La Cina, origine del contagio, e l’India ormai veleggiante verso i 300 mila casi, non trovano di meglio da fare, per distrarsi, che guerreggiare sull’Himalaya. E adesso a peste, fame, guerra, acqua che si tinge di rosso radioattivo si aggiungono pure le locuste. Dall’Africa all’India, fino ad attaccare la Sardegna.

 

In realtà le cavallette c’erano già prima della pandemia. La vicenda inizia due anni fa, quando a sorpresa iniziò a piovere come Allah la manda nel Rub’ al Khali, il desolato “deserto di sabbia” che occupa una larga parte dell’Arabia meridionale. Tra le dune di uno dei posti più aridi del mondo si formarono così ameni laghetti, in cui le locuste del deserto, Schistocerca gregaria, iniziarono a sguazzare. Crescendo e moltiplicandosi a dismisura. Poiché nel deserto ovviamente c’è poco da mangiare, un anno fa hanno passato in forze il Mar Rosso e sono approdate in Africa orientale. In Etiopia e Somalia è stata giudicata la peggior invasione di cavallette degli ultimi 25 anni; in Kenya addirittura degli ultimi 75 anni. Devastato gran parte del devastabile, con raccolti tra il 30 e il 70 per cento distrutti, una parte dell’invasione rischia ora di avanzare verso l’Africa occidentale. La Fao teme che in presenza di precipitazioni e venti favorevoli potrebbero attraversare Sudan, Sud Sudan, Ciad e Niger, arrivando fino a Mali e Mauritania. Ma un altro bel po’ è tornata verso nord e est, per investire Eritrea, Kenya, Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Oman, Iran, India, Pakistan. Almeno 25 milioni di persone sono a rischio di carestia.


Gli entomologi assicurano che quelle che stanno devastando la Valle del Tirso non c’entrano niente con le loro cugine afro-asiatiche


 

Gli entomologi assicurano che quelle che stanno devastando la Valle del Tirso non c’entrano niente con le loro cugine afro-asiatiche. Non sono immigrate ma indigene: Dociostaurus maroccanus. Non si moltiplicano nell’acqua, ma al contrario depongono uova nella terra soda. Gli ammassi vengono chiamati “grillaie”. Un modo tradizionale per tenere il flagello a bada era appunto quello di arare le grillaie, in modo da distruggerle. Nel 1946 alcuni anni di abbandono dovuto alla guerra provocarono una moltiplicazione catastrofica, che fu combattuta a colpi di lanciafiamme all’arsenico. Ovviamente aggiungendo danni ancora peggiori. Dalla guerra chimica si passò allora a quella biologica, diffondendo due insetti parassitari che hanno aiutato a rimettere le distruttrici al loro posto. Tra gli alleati c’era il coleottero Mylabris variabilis, che facendole pasteggiare a uova di cavalletta fa crescere le sue larve sane e forti. Ma con il lockdown le terre sono state di nuovo abbandonate, e il Dociostaurus maroccanus ne ha approfittato. Almeno il 50-60 per cento delle coltivazioni è stato già divorato e la situazione è in questo momento talmente allarmante che molti agricoltori si sono messi a fare il raccolto in anticipo, pur di salvare il salvabile.

 

Schistocerca gregaria e Dociostaurus maroccanus, peraltro, non sono neppure lo stesso genere, anche se devastano alla stessa maniera. In linea generale con i termini cavallette e locuste si definiscono gli appartenenti a quel sottordine di insetti ortotteri celiferi. Ai celiferi appartengono sia i membri delle famiglie Tetrigidae, volgarmente definite cavallette nane; sia quelli delle Acrididae, cavallette migratorie o locuste per eccellenza. E solo loro sarebbero almeno 2.400 generi e 12.000 specie, infatti capaci di adattarsi dappertutto. Però si mette nello stesso calderone anche la comune cavalletta verde Tettigonia viridissima, che appartiene invece al secondo e distinto sottordine degli ortotteri: gli Ensifera. Insomma, si dice “cavalletta” a tutti gli ortotteri che sono in grado di volare o saltare: termine italiano che appunto allude alla loro capacità di spiccare balzi in stile equino. Anche il francese “sauteriau” si riferisce a questa dote, mentre lo spagnolo “saltamonte” e l’inglese “grasshopper” specificano che il tutto avviene sull’erba. Hopper si chiamava la cavalletta-capo mafioso affrontato dal gruppo di insetti circensi in “Bug’s life”, celebre film di animazione del 1998. Grasshopper è anche il nome inglese di una famosa squadra di calcio che nella germanofona Zurigo hanno preferito al tedesco “Kurzfühlerschrecken”, evocatore di paura.


“Fate molto rumore perché gli insetti non si posino per terra e volino oltre, e non lasciatevi prendere dal panico”, consigliano le autorità


 

Locusta, invece, viene dal latino “loca usta”. “Luoghi bruciati”. “Bruciano come il fuoco con il loro morso le cose con le quali vengono a contatto, per il fatto che i loro escrementi sono corrosivi, caustici, pieni di veleno e la saliva è come una sorta di veleno giallo che scola dalla loro bocca” spiegò Gaspard Bahuin, il naturalista svizzero che inventò il sistema di classificazione delle specie per nomenclatura binomiale poi ripreso da Linneo e oggi usato da tutti.

 

Un solo sciame può contenere fino a 150 milioni di locuste, può percorrere 150 chilometri al giorno e può consumare in una giornata duecento tonnellate di raccolto e risorse tali da sfamare fino a 35.000 persone, senza contare la distruzione dei foraggi. E a febbraio la Fao ha quantificato le locuste scatenate sull’Africa in almeno 200 miliardi. Sempre la Fao ha parlato di catastrofe “senza precedenti per dimensioni e potenziale distruttivo”, ma probabilmente il riferimento era ai suoi archivi da quando esiste, il 1945. Cronache certo meno precise dei dati onusiani ci informano ad esempio che nel 1866 in Algeria un’invasione di locuste provocò ben mezzo milione di vittime. Ma quando nel 1890-91 il flagello si presentò di nuovo, le autorità francesi mobilitarono soldati e coloni che non solo costruirono 1.500 chilometri di sbarramenti, ma uccisero 1.450 miliardi di giovani esemplari e distrussero 560 miliardi di uova. Cifre simili ci arrivano da Marsiglia e Arles nel 1613: distrutte 122 tonnellate di insetti e 12 tonnellate di uova. O da Saintes-Maries-de-la-Mer nel 1824: 65 tonnellate.

 

Le locuste sono definite “flagello biblico”. Effettivamente nel libro dell’Esodo sono l’ottava piaga d’Egitto, e la terzultima: ultima possibilità di pentimento prima delle tenebre e della morte dei primogeniti di uomini e delle bestie. Ma le locuste sono anche un castigo mandato da Jahvè nel Libro di Gioele, per punire i peccati di Israele. In entrambi i casi, il Signore suscita poi un vento a spazzare via le bestie, quando ritiene che la lezione sia bastata. Gregorio di Tours nel VI secolo racconta di un’invasione in Francia in cui le locuste non lasciarono “né albero, né vigna, né bosco, né frutto, né raccolto o verzura che sia”. Aberto Magno nel XIII secolo in Germania le definisce distruttrici di “tutti i frutti della terra”. Ruperto di Salisburgo nel 1242 le rappresenta nei suoi Annali come “divoranti persino i cavalli e gli animali che passano nei campi”.

 

Passando dall’Antico al Nuovo Testamento, però, compare Giovanni il Battista, che invece ne fa scorpacciate. Nel deserto si nutre infatti solo di cavallette e miele selvatico, cosa per cui lo criticano. “E’ venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: ‘E’ indemoniato’. E’ venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: ‘Ecco, è un mangione e un beone’”, ironizzerà il cugino Gesù.


Si dice “cavalletta” di tutti gli ortotteri che sono in grado di volare o saltare: termine italiano che allude alla loro capacità di fare balzi


 

Il termine locusta verrebbe dallo spagnolo langosta: parola per indicare scampi, aragoste e gamberetti, che avrebbero un sapore simile. E in molte culture le cavallette sono considerate una leccornia: fritte, bollite e salate, in spiedini, con riso stile paella, al forno, alla griglia, seccate al sole, ridotte in farina, condite col cumino. Su Amazon una confezione in busta trasparente di 30 grammi di cavallette messicane con cumino, sale, pepe e lime viene 7,49 dollari, mentre in barattolo il prezzo è di 8,45 per 10 grammi e di 23,40 per 80. Provenienza: Oaxaca, da cui garantisco un “delicato sapore di erbe”.

 

Diodoro Siculo ha descritto la popolazione africana degli akridifagi, “mangiacavallette”, che aspettava al varco gli sciami accendendo fuochi che li abbattevano in volo. Caduti dal cielo già caldi e croccanti, gli insetti venivano in parte divorati subito, e in parte conservati sotto sale. Anche i video che adesso arrivano dai paesi colpiti nostrano gente che attende le locuste, per urlare e fare baccano. “Fate molto rumore perché gli insetti non si posino per terra e volino oltre, e non lasciatevi prendere dal panico”, è stato il consiglio ufficiale dato dalle autorità indiane. I contadini hanno portato le auto e si sono messi a suonare il clacson. Qualcuno ha pure messo a tutto volume rock indiano, che sembra spaventare le locuste in modo particolare. Oltre due millenni prima che in riva al Gange arrivassero le chitarre elettriche, Plinio ci informa che a Cirene la legge mobilitava la popolazione tre volte all’anno per distruggere le uova, schiacciare le larve e infine uccidere gli esemplari adulti. Nell’Europa cristiana si andava inoltre in processione, per invocare da Dio o dai santi qualche fenomeno atmosferico o qualche arrivo in massa di uccelli divoratori in grado di parare la minaccia. In Francia e a Cipro avevano inventato trappole con teli cerati o lastre di vetro, che non offrendo appigli facevano scivolare le bestie in basso. Soprattutto, però, le cronache confermano che le locuste temono il baccano, e anche i movimenti bruschi. Quando le autoradio non c’erano si usavano dunque getti di sabbia, gong, squilli di tromba, grida, strisce di stoffa violentemente agitate, campane a distesa. Solo che più che distruggere gli sciami in questo modo li si deviava addosso ai vicini. A inizio anno la Fao stimava in 70 milioni di dollari la spesa che sarebbe servita per fermare il flagello in Kenya spargendo pesticidi sui campi con gli arei. Cosa complicata da fare, per via degli Shaabab.

 

In Europa, però, le locuste migratrici cessano di arrivare dal XVIII secolo. Restano animali stanziali in quantità compatibili con l’ambiente, che a volte, come in Sardegna, possono moltiplicarsi fino a livelli pericolosi. Ma le ultime grandi invasioni sono nel 1749 in Bassa Austria e nel 1780 in Tirolo. Come mai? Alla cavalletta Robert Delort dedicò un capitolo del suo classico “L’uomo e gli animali dall’età della pietra a oggi”, del 1984. La sua risposta si richiamava agli studi di Erwin Schimitschek, insigne entomologo ed esperto di foreste austriaco vissuto tra 1898 e 1983, secondo cui sarebbe stata una diversa gestione del territorio a interrompere quel percorso balcanico che le locuste di provenienza asiatica avevano sempre seguito per riversarsi sull’Europa occidentale. In realtà l’obiettivo originario non era stato quello di fermare la cavallette, ma i turchi. Il governo asburgico aveva allora piazzato nella cosiddetta “frontiera militare” alcuni forti contingenti di truppe di frontiera stanziali, cui erano affidate anche terre da coltivare, e che si stabilirono con le proprie famiglie. Molti erano profughi serbi, scappati in territorio austriaco dopo aver provato a ribellarsi agli ottomani. Gran parte di loro veniva dal Kosovo, una terra che nel Medioevo era stata in centro importante della cultura serba, e che fu ripopolata con albanesi islamizzati. Insomma, tra serbi di Croazia e albanesi del Kosovo abbiamo due delle radici della sanguinosa guerra di secessione della Yugoslava degli anni Novanta.


Locusta viene dallo spagnolo langosta, termine per indicare scampi, aragoste e gamberetti, che avrebbero un sapore simile 


Non c’erano però solo serbi, visto che la zona si estendeva dall’Adriatico alla Galizia passando per la Croazia, la Slavonia, la Transilvania e la Bucovina. Il relativo statuto durò dal 1630 al 1873, anno in cui comprendeva 67.205 famiglie. Per permettere il popolamento furono prosciugate immense paludi, e furono piantati alberi in steppe e terreni friabili: per il 70 per cento querce, betulle, aceri, tigli, salici e pioppi. E da qui una modifica della situazione igrometrica tale da impedire per sempre la formazione dei grandi sciami di locuste. Che per questo da lì non passarono più.

 

Anche per fermare i passaggi di oggi si mobilitano i soldati. La paura ha spinto ha collaborare sul tema tre paesi tradizionalmente non proprio amici come India, Pakistan e Iran, e un nuovo strumento particolarmente efficace si stanno dimostrando i droni. Ma la grande speranza è che i satelliti permettano di individuare in anticipo le “grillaie” attraverso l’analisi dei terreni dallo spazio. La salvezza verrà dallo spazio.

Di più su questi argomenti: