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La voce di chi vuole avere un'arma, con qualche restrizione

Redazione

La percezione della minaccia, la vulnerabilità: ecco come si è costruita la coscienza collettiva sul secondo emendamento: il racconto di David French sull'Atlantic

Roma. Paul Ryan, presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, si è dichiarato contrario alla proposta di imporre nuove restrizioni a chi possiede armi. “Non vanno proibite a chi rispetta le leggi – ha detto in conferenza stampa martedì – dobbiamo concentrarci nel far sì che non le possieda chi non dovrebbe”. Il discorso del repubblicano svela l’esistenza di un’America che vede nel possesso delle armi un diritto, ma che allo stesso tempo sente la necessità di una regolamentazione. Punto di vista condiviso anche da David French. L’intellettuale conservatore che scrive sulla National Review ed è veterano della guerra in Iraq, ha spiegato sull’Atlantic come si sviluppa la cultura delle armi americana.

 

“Mia moglie capì che c’era qualcosa di strano quando una macchina bloccò il nostro vialetto. Lei era fuori casa, stava giocando con i nostri bambini”. Il giornalista inizia l’articolo descrivendo una delle situazioni di pericolo in cui si è trovata la sua famiglia. Lui era a lavoro e quando dall’auto scese un uomo con la fondina della pistola in bella mostra per chiedere di lui, sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa. “Non è stato il primo incidente inquietante nelle nostre vite e non sarebbe stato l’ultimo”.

 

Quando nel 2016 French, conservatore, dichiarò che non avrebbe votato Trump, gli estremisti di destra iniziarono a minacciare lui e tutta la sua famiglia sui social. “Negli ultimi anni abbiamo affrontato talmente tante intimidazioni che anche i miei vicini si sono preoccupati per la nostra e per la loro incolumità”. Se le opinioni politiche sono spesso plasmate dal contesto in cui si vive, riflette l’autore, siamo tutti prodotti del posto in cui viviamo, della nostra epoca e della nostra gente, “e mi colpisce che ancora ci siano milioni di americani che non capiscono come si formi la la cultura delle armi, di come il processo che ti porta prima a possedere una pistola, poi a chiedere il permesso di portarla in pubblico, ti cambi la vita”. Comincia con la presa di coscienza della minaccia che conduce alla consapevolezza della vulnerabilità e poi al grande passo: “E’ in un negozio di armi che si inizia a fare conoscenza con la cultura delle armi. La prima cosa che noti è che la persona dietro al bancone vuole ascoltare la tua esperienza e condivide la propria. Spesso è un veterano, un poliziotto in pensione, sempre ben informato e pronto a dare insegnamenti”. French descrive il primo incontro con questa cultura come positivo. “Il poligono spesso è nel negozio. Compri la pistola e vai a sparare, ti metti una protezione per gli occhi, una per le orecchie. E se sei onesto con te stesso, ti senti nervoso”.

 

In questo viaggio c’è sempre una guida che ti aiuta, ti insegna a premere il grilletto a cambiare le munizioni a puntare contro il bersaglio. “Lo fai, spari. Fa rumore, ma se il venditore ti ha dato la pistola che fa per te, in un solo istante l’arma si svela. Compri una scatola di munizioni, poi un’altra”. La costruzione della cultura delle armi non si ferma qui, si spinge sempre oltre fino al desiderio che la sensazione di sicurezza che ti dà il possedere una pistola in casa si sposti sempre con te. “Allora ottieni il permesso per portare le armi in pubblico”. Andare in giro con un’arma, secondo French, ti fa sentire emancipato. “E’ difficile da spiegare, è come se fossi meno dipendente dallo stato per quanto riguarda la tua sicurezza, questa fiducia ti fa sentire libero”.

 

Questo processo, questo viaggio nell’America delle armi, questo sentimento inebriante di sicurezza porta l’autore alle sue considerazioni sul Secondo emendamento. “Che i possessori delle armi ne disprezzino la regolamentazione è un pregiudizio. Anzi, loro pensano che gli obiettivi dovrebbero essere due: proibire le armi alle persone pericolose e proteggere i diritti di accesso a chi rispetta la legge”. Il sillogismo secondo French è semplice: criminali e persone instabili rendono la nazione più violenta, chi possiede le armi e rispetta le regole salva e protegge le vite di tutti. “I divieti dei progressisti hanno l’effetto sbagliato, non pongono ostacoli agli illegali, ma li mettono a chi rispetta la legge. E’ una forma di punizione collettiva per gli innocenti, un mero fastidio per i criminali”.

 

La legge secondo French deve agire sul controllo, così si sarebbero potute evitare secondo il giornalista tutte le grandi stragi. “E’ in questo contesto che i possessori di armi sperimentano la retorica tossica del dibattito sul Secondo emendamento”. I possessori di armi sono presentati da French come una comunità unita dalla necessità di sentirsi al sicuro, di fare del bene ed è anche in questo senso di associazione che si costruisce la cultura delle armi. “Io ho un’arma, anche mia moglie e non abbiamo paura. Siamo preparati e questa sensazione è contagiosa. La fiducia è contagiosa. Le persone vogliono sentirsi forti. Così si costruisce la cultura delle armi. Non dalla Nra, non dal Congresso, ma dai possessori di armi, da un cittadino libero alla volta”.