Cosa dice degli equilibri asiatici il palco di Pyeongchang 2018

La stretta di mano tra Corea del sud e Corea del nord e altri motivi per dire che queste Olimpiadi hanno già fatto la storia

Giulia Pompili

Roma. Un pupazzo di neve inizia da una palla di neve, ha detto il presidente sudcoreano Moon Jae-in, subito prima di quella che è stata una delle più memorabili cerimonie d’apertura dei Giochi olimpici invernali. Quando venerdì Kim Yong-nam e Kim Yo-jong, rispettivamente presidente del presidium dell’Assemblea suprema del popolo, in pratica il capo di stato nordcoreano, e la sorella minore del leader Kim Jong-un nonché membro non permanente del Politburo, sono sbarcati all’aeroporto di Incheon, in territorio sudcoreano, è stato un po’ come lo sbarco sulla luna. E’ la prima volta dal 1953, anno dell’armistizio tra Seul e Pyongyang, che un membro della dinastia dei Kim mette piede in Corea del sud. I giornalisti erano tutti lì, a fotografare la giovane donna di cui fino a venerdì avevamo pochissime immagini e di cui non conosciamo ancora con esattezza nemmeno l’età (si presume abbia tra i 28 e i 30). Kim Yo-jong è entrata nell’aeroporto circondata dalle sue guardie del corpo, tutte in completo nero e Ray-Ban a coprire lo sguardo, stretta in una pelliccia altrettanto nera ed elegante. Soltanto poche ore prima suo fratello e sua cognata avevano assistito alla tradizionale parata per il settantesimo anniversario della fondazione dell’Esercito nordcoreano, dicendo al mondo che si può mostrarsi amici, visitando i rispettivi paesi divisi da sanguinose guerre, ma che l’arsenale è sempre lì, pronto all’uso. Kim Yo-jong è in fondo il capolavoro strategico di Pyongyang: la figura di Kim Yong-nam, seconda carica dello stato, che a 90 anni ha visto e trattato con molti presidenti americani e sudcoreani, rappresenta l’autorità, la disciplina, il rigore. Ma non è niente in confronto allo charm offensive che può provocare una giovane donna. E’ difficile immaginare che quella ragazza sia sulla black list americana, sotto sanzioni per violazione dei diritti umani. Le sue prime immagini nel mondo “libero” tradiscono addirittura un po’ di agitazione, tanto che appena sbarcati dall’aereo presidenziale, mentre a guidare la delegazione con passo svelto e deciso c’era un Kim Yong-nam perfino sorridente, la piccola Yo-jong è sparita dall’occhio delle telecamere. E quando la delegazione è stata ricevuta da alcuni alti papaveri sudcoreani, in una stanza dell’aeroporto, il cerimoniale ha offerto a lei la sedia più importante, ma Kim Yo-jong, nel rispetto delle gerarchie, ha ceduto il posto all’anziano Kim.

 

Il pupazzo di neve di Moon Jae-in (o forse dovremmo dire quello di Kim Jong-un?) ha iniziato a prendere forma sul palco Vip dello stadio olimpico di Pyeongchang. I due Kim erano già seduti al loro posto, nella fila posteriore del palco vip, quando sono entrati i padroni di casa, Moon e la moglie. Il presidente sudcoreano si è girato e ha stretto la mano di Kim Yo-jong, che solo in quel momento ha mostrato i denti in un sorriso. I due si incontreranno probabilmente di nuovo oggi, a Seul, ma non è ancora chiaro dove. Venerdì, a nemmeno due metri di distanza, sulla prima fila del palco, sedevano pure il vicepresidente americano Mike Pence e il primo ministro giapponese Shinzo Abe, gli unici a non essersi alzati e a non aver applaudito quando la squadra della “Corea unita” è entrata nello stadio olimpico. “E’ tutto uno show”, “si tratta solo di sport”, dicono perfino alcune fonti diplomatiche sudcoreane. Il sospetto è davvero che il leader nordcoreano abbia mandato il suo volto gentile in Corea del sud, solo per ottenere in cambio aiuti e tolleranza. Intanto, però, godiamoci lo spettacolo.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.