Una manifestazione dei lavoratori IG Metall

Perché in Germania i sindacati scioperano quando le cose vanno bene

Daniel Mosseri

Con la disoccupazione ai minimi si apre una vertenza dei metallurgici per ridurre la settimana lavorativa a ventotto ore

Berlino. Dal 5,5 per cento a dicembre 2017 al 5,4 a gennaio di quest’anno: la disoccupazione è in ulteriore calo in Germania. “Il mercato del lavoro ha iniziato il nuovo anno pieno di vitalità”, ha scritto l’Agenzia federale del lavoro nel rapporto divulgato appena ieri. Su anno, si registrano a gennaio 207 mila occupati in più e 25 mila disoccupati in meno. Non solo. “La domanda di nuovi dipendenti rimane molto elevata”, sottolinea la Bundesagentur für Arbeit. Gli ordinativi all’industria vanno bene e le imprese realizzano profitti: nella Repubblica federale è dunque tempo di scioperi. Nel giorno dell’uscita del rapporto sul mercato del lavoro, l’IG Metall ha lanciato il primo Warnstreik, o sciopero di avvertimento. Con i suoi 2,3 milioni di iscritti, l’IG Metall detta legge fra i 3,9 milioni di lavoratori dell’industria tedesca, dalla metallurgia alla chimica. L’astensione dal lavoro è stata indetta dopo il fallimento del quinto round negoziale per il rinnovo del contratto di categoria. La vertenza del sindacato è articolata su due richieste: un aumento salariale del 6 per cento e l’introduzione della settimana corta con 28 ore di lavoro rispetto alle 35 previsto dal contratto collettivo in vigore, fatto salvo il diritto di tornare al full-time. Nella proposta del sindacato, la possibilità di lavorare sette ore in meno a settimana deve essere offerta a chi ne faccia richiesta. Il problema, però, è nella postilla: ai lavoratori che scendono a 28 ore per prendersi cura di bambini sotto i 14 anni o di un genitore disabile dovrà essere riconosciuto un compenso salariale per le ore lavorate in meno. La proposta è stata respinta dalla Gesamtmetall che, pur offrendo aumenti del 6,8 per cento su 27 mesi, ha considerato il sostegno finanziario ai lavoratori con parenti a carico semplicemente discriminatorio.

 

Davanti all’ipotesi che in Germania passi l’opzione di una settimana lavorativa di appena 28 ore, “per i datori di lavoro i problemi sono sostanzialmente due”, spiega al Foglio Hagen Lesch, direttore dell’unità Politica industriale e rapporti salariali dell’Istituto dell’economia tedesca (IW) con sede a Colonia. Come recuperare le ore di lavoro perse e come integrare il salario dei lavoratori a 28 ore con bambini a carico. Per l’economista la prima questione è relativamente facile da risolvere: “Il vecchio contratto prevedeva già la possibilità che su base volontaria un 18 per cento dei lavoratori potesse lavorare fino a 40 ore”, ossia il tetto di ore previsto e poi abbattuto nel 1984. Poiché non tutti nell’industria vogliono lavorare di meno, “aumentando la percentuale dei volontari magari al 25 per cento” si dovrebbe poter compensare la quota di ore perse da quelli che lavoreranno di meno. L’ostacolo principale è invece l’integrazione. “Chi scende da 35 a 28 ore con bimbi o nonni a carico dovrebbe ricevere la stessa paga di chi ne lavora 35: così si avranno due paghe orarie differenti per lo stesso lavoro, il che è sostanzialmente ingiusto”.

 

Lasciando alle parti l’onere di risolvere la vertenza, va segnalato che lo scontro non infiamma la politica tedesca. Da un lato, il governo mantiene una tradizionale posizione di neutralità rispetto alla contrattazione collettiva nel settore privato. I socialdemocratici, dal canto loro, sono troppo impegnati nel negoziato per formare il nuovo governo con i moderati di Angela Merkel per sostenere l’IG Metall, che riceve invece l’aperto sostegno dei social-comunisti della Linke. Degno di nota è poi l’uso dello sciopero in un periodo di vacche grasse. I lavoratori specializzati dell’industria tedesca non sono facilmente rimpiazzabili e le sigle sindacali lo sanno bene. Il dibattito non infiamma ma forse preoccupa il governo, riprende Hesch, “perché fra febbraio e marzo si aprirà la vertenza per il rinnovo del contratto nel pubblico impiego e immagino che anche Ver.di (che non sono i Grünen ma la Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft) chiederà un aumento del 6 per cento”. I salari nel settore industriale in Germania sono nettamente più corposi che nei servizi pubblici o privati, ricorda l’economista, “e le altre sigle dicono che è tempo di colmare il gap”.

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