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L'ironia di Merkel, gli attacchi a Hammond, i leak sulla Brexit. Chi riderà per ultimo?

Paola Peduzzi

Intanto Theresa May vive sommersa da voci che la danno per (politicamente) morta

Milano. Giornalisti, commentatori, politici, addetti ai lavori della Brexit ieri hanno parlato soltanto delle ultime rilevazioni – che pubblichiamo qui: l’autore dello scoop è Alberto Nardelli, Europe Editor di BuzzFeed News – sull’impatto dell’uscita dall’Ue per il Regno Unito: in sintesi, un disastro.

 

Nei tre scenari presi in considerazione dagli analisti, l’economia britannica è destinata a subire molti danni nel medio periodo – quindici anni – e questo vale anche in caso di una “soft Brexit” (in questo caso i danni sono inferiori, ma ci sono). Comunque vada il negoziato, ci sarà da piangere insomma, ed è anche per questo che queste analisi non sono mai state pubblicate: anzi, peggio, s’è detto che gli studi c’erano, pure nei dettagli, poi che non c’erano, poi che erano ridimensionati. In ogni caso, il governo britannico ieri ha passato il tempo a giustificarsi.

 

I brexiteers hanno fornito alcuni argomenti: quelli che hanno svolto le analisi sono gli stessi che prevedevano l’apocalisse dopo il referendum, sbagliavano allora e sbagliano anche oggi. I cantori dell’apocalisse di allora sono intervenuti, in particolare George Osborne, che era cancelliere dello Scacchiere e il volto più noto del cosiddetto “Project Fear” che risultò sconfitto al referendum: è la prima volta che un’analisi tanto disastrosa viene elaborata da questo governo, ha detto Osborne che oggi è direttore dell’Evening Standard, e poi se davvero è un report così poco rigoroso e ancora da sviluppare perché tutti i ministri sono tenuti a leggerlo? Per non sbagliare, ha scritto Osborne, questo governo dovrebbe subito fare una mossa decisa e con un significato chiaro: far entrare il Regno Unito nell’European Free Trade Association (Efta), il blocco commerciale che include Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein, in modo da escludere “i danni maggiori” previsti con la Brexit.

 

Osborne combatte la sua battaglia, si sa. Ma i brexiteers sono inferociti, e mentre dicono che questa è soltanto una delle analisi fatte (dove sono le altre però?) e che non considera gli ultimi passi avanti nel negoziato e che il leak è soltanto un modo “per sminuire la nostra uscita dall’Ue”, si va a caccia del responsabile: chi ne trae il maggior vantaggio? Viene da dire: nessuno. Un documento che dice che il tuo paese andrà a finire male (o malino o malissimo, non cambia un granché) è deleterio per chiunque stia al governo, certo lo è per Theresa May, la premier, che vive sommersa da voci che la danno per (politicamente) morta. Si può continuare a pensare che l’istinto distruttivo del Partito conservatore britannico sia incontrollabile e quindi non resta che subirlo; si può continuare a pensare che la faida per la leadership dei conservatori andrà di pari passo con il negoziato sulla Brexit e che non ce ne libereremo mai (fino a che non vince il Labour, tra l’altro); si può continuare a pensare che la May sia inadatta al ruolo, ma per quante considerazioni si possano fare rimane piuttosto chiaro che in questo scontro permanente ci perde tutto il paese.

 

Basta leggere lo scambio tra la May e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, riportato dall’anchorman di Itv, Robert Peston. Merkel dice alla May: “Cosa vuoi?”. May risponde: “Fammi un’offerta”. Merkel di rimando: “Sei tu che te ne stai andando, non dobbiamo farti un’offerta”. Questa sintesi è stata fatta dalla Merkel in un incontro privato con i giornalisti a Davos: ridevano tutti, dice Peston, “ma non sono sicuro che questo sia così divertente per il Regno Unito”. Non lo è, in effetti. Così come non è divertente aprire le newsletter politiche dei giornali inglesi e trovare frasi del tipo “il mandato della May può finire anche domani” ormai tutti i giorni. Sono tutti in subbuglio, anche i finanziatori del partito: secondo il Times, molti di loro vogliono che la May se ne vada nei prossimi mesi, uno di loro dice che va bene chiunque al suo posto, sia il falco Boris Johnson con la sua Brexit “piratesca” (il ministro degli Esteri inventa una definizione nuova ogni volta che parla) sia il cautissimo Philip Hammond, che vuole la più soft delle Brexit possibili. Questo significa che non c’è una predilezione per un certo tipo di Brexit, c’è solo la voglia di levarsi di torno la May. La quale deve combattere su tanti fronti contemporaneamente: la lotta sulla Brexit, come prima cosa, ma anche quella con il suo ex consigliere (detestatissimo da tutti tranne che da lei) Nick Timothy che dice che questo governo è oppresso dalla “confusione strategica” e a scendere tutti i rivoli possibili, compreso il leak a BuzzFeed News. L’agnello sacrificale di questi ultimi giorni è il cancelliere Hammond che ha detto candidamente che gli inglesi hanno sì votato per la Brexit ma non certo per ritrovarsi più poveri e che è compito del governo far sì che questo non avvenga. L’unico modo è cambiare in modo “molto modesto” i rapporti con l’Ue, ha detto Hammond, ritrovandosi tacciato di essere “un freelance della Brexit”. L’entourage di Hammond fa sapere che il cancelliere è pronto a tutto, sa che diventerà difficile lo scontro, ma sa anche di aver guardato tutti gli esiti possibili della exit, e i brexiteers non l’hanno fatto. E’ da mesi che ascoltiamo gli stessi battibecchi, chissà dove trovano la forza quelli che ancora ridono.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi