Heinz-Christian Strache e Sebastian Kurz (foto LaPresse)

Dettagli sul governo d'Austria, tra simboli, passato e parole indicibili

Andrea Affaticati

Tanti dubbi sulla linea europeista dell'esecutivo guidato da Kurz e Strache

Milano. Mentre i media internazionali guardano allarmati alla svolta a destra dell’Austria, ieri davanti alla Hofburg, la residenza del capo di stato, non erano poi in tanti a protestare. Le forze dell’ordine parlano di poco più di 5 mila persone, gli organizzatori di diecimila: molti meno rispetto a quelli che manifestarono nel 2000, in occasione della prima coalizione di governo tra popolari dell’Övp e l’Fpö, un partito che, come si sa, affonda le proprie radici in un’ideologia originariamente pan germanica e poi radicalmente nazionalista. Nel discorso di investitura del governo, il presidente Alexander Van der Bellen ha sottolineato che anche alla luce degli “scambi costruttivi avvenuti nelle passate settimane tra lui e i due capi di partito”, il neocancelliere Sebastian Kurz e il capo dell’Fpö Heinz-Christian Strache, nuovo vicecancelliere nonché responsabile per la Pubblica amministrazione e lo Sport, “resta fermo che anche questo governo continuerà nel solco pro europeo fino a qui perseguito dal paese, così come nel rispetto dei diritti e della separazione dei poteri. L’introduzione di meccanismi che possano ampliare la democrazia diretta dovrà, infine, avvenire in modo oculato e rispettoso dei fondamenti sui cui si poggia da sempre la repubblica”. Il presidente austriaco ha scelto toni molto rassicuranti, perché i commenti anche fuori dall’Austria sono preoccupati. Lo Spiegel online ieri scriveva, per dire: “E’ più che probabile che il nuovo governo proseguirà nella politica europea di prima, visto che ultimamente l’Austria si è già schierata più al fianco di Varsavia e Budapest che di Bruxelles”.

 

 

Van der Bellen poteva fare da argine al gran bottino conquistato nell’esecutivo dall’Fpö? Molti lo speravano, e lui stesso ha detto: “Non è un segreto per nessuno che io sia di un altro schieramento politico. Ma una volta accettato l’incarico di capo di stato ho giurato di rispettare la volontà popolare e di agire per il bene di tutto il paese”. Le perplessità restano: è vero che Kurz e Strache si sono ben guardati dal sottoporgli nomi che lui aveva già bollato come “irricevibili”. In compenso ci sono altri ministri dell’Fpö con curricula controversi, a iniziare da quello di Strache, il quale in gioventù coltivava contatti con la scena neonazista (nel 2000, l’allora capo di stato Thomas Klestil aveva detto di no all’ingresso di Haider nel governo Övp-Fpö). Poi c’è quello di Mario Kunasek, capo dell’Fpö stiriana e ora ministro della Difesa: sottoufficiale in congedo, non fa parte di una confraternita studentesca, ma anche lui coltiva contatti con l’estrema destra tra cui il mensile austriaco Aula e il gruppo “Partei des Volkes” (Pdv). Kunasek inoltre in passato ha diffuso notizie poi rivelatasi false sulla costruzione di moschee con soldi pubblici e si è avvalso di scene marziali tratte dai videogiochi per mostrare come ci si oppone alle discussioni sull’asilo politico. Ma secondo gli esperti la figura più inquietante è quella di Annelise Kitzmüller, chiamata a prendere il posto dell’ex sfidante di Van der Bellen alle presidenziali, Norbert Hofer (ora ministro per le Infrastrutture), come terzo vicepresidente del Parlamento. Kitzmüller oltre che per le posizioni omofobiche è nota per essere un’esponente di spicco di due confraternite femminili strettamente legate al culto del paganesimo germanico.

 

Il dicastero degli Esteri invece è stato diviso: le competenze di politica europea sono ora in mano al nuovo capo della cancelleria, il popolare Gernot Blümel, e di fatto a Kurz. Il quale già sabato nel presentare il programma e la squadra di governo – sul Kahlenberg, luogo simbolico, perché su questa collina alle porte di Vienna furono fermati i turchi – aveva detto: l’uscita dell’Austria dall’Ue è impensabile. Molti sperano che oggi a Bruxelles Kurz dica qualcosa di più costruttivo, e promettente. Dell’uscita dall’Ue si pensava di non dover nemmeno parlare

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