Steve Bannon (Foto LaPresse)

Un'altra tv di destra per Trump?

Paola Peduzzi

Grandi chiacchiere sul futuro mediatico di Bannon e dei trumpiani, tra Murdoch e il temuto Sinclair

Milano. Il presidente americano Donald Trump continua a compiacere e illudere i suoi elettori, con i dialoghi bipartisan e le improvvise sterzate, ma intanto i trumpiani, anche gli ex che ormai sono molti, provano a organizzarsi: se non ci pensa il presidente a coccolare il suo elettorato, lo faremo noi. Da giorni non si fa che parlare della volontà di Steve Bannon, ex consigliere della Casa Bianca e custode in chief delle idee più radicali che ispirano il trumpismo, di creare una versione televisiva del suo Breitbart.

 

Non gli basta Fox News? Non è che non basta, è che l’emittente di proprietà di Rupert Murdoch è in una fase particolare della sua esistenza: stanno arrivando i giovani, i figli di Murdoch, che hanno già iniziato la riverniciatura con i rumorosi licenziamenti dei boss della tv accusati di molestie sessuali (uno, Bill O’Really, si è fatto sentire due giorni fa con un’intervista battagliera in cui fa capire di avere anche lui nuovi progetti mediatici in testa). In più gli investitori nel gruppo di Murdoch sono sempre più agitati e insistenti: tra Brexit e Trump l’instabilità è massima, e il nervosismo è veleno per i mercati. In Inghilterra poi il governo continua a dare pensieri a Murdoch, rallentando il suo deal con Sky News, e tra rivolte editoriali al Wall Street Journal e conti da far quadrare, Murdoch appare al momento un po’ distratto. Bannon sta parlando con altri due interlocutori: Christopher Ruddy, amico di lungo corso di Trump e ceo della Newsmax, e con il Sinclair Broadcast Group, che è il gruppo mediatico più chiacchierato dell’anno soprattutto perché Michael Copps, il capo della commissione federale sulle comunicazioni nominato da Bush Jr., l’ha definito “l’azienda statunitense più pericolosa di cui non avete mai sentito parlare”. Sinclair, “gigante conservatore”, scrive il New York Times, ha un’enorme presenza a livello locale, e se dovesse portare a termine l’ultimo suo colpo, l’acquisizione di Tribune Media, aggiungerebbe altri 42 canali ai suoi 173. 

  

 

In un articolo di BuzzFeed sulle alternative che ha Bannon per continuare la sua guerra all’establishment repubblicano, si sottolinea che Sinclair possiede un canale a pagamento che potrebbe “ipoteticamente” essere dedicato a una Bannon/Breitbart tv. Sarebbe un’opzione sul tavolo, anche se la discussione è ancora a un stadio precedente: meglio un canale tv o una versione “light” con una tv via internet appoggiata a Breitbart?

 

Da un punto di vista economico la risposta è facile: la gestione di un canale cable è estremamente più costosa dell’alternativa internettiana. Da un punto di vista strategico invece ci sono molte più sfumature. Secondo l’ultimo rapporto del Pew Research sulla fruizione delle informazioni: ad agosto, il 43 per cento degli americani si è informato su internet. La percentuale è a 7 punti dal 50 per cento di americani che in media guardano la tv per avere le notizie: il gap era, all’inizio del 2016, pari a 19 punti percentuali, cioè la distanza tra web e tv si è più che dimezzata. Questo sarebbe un punto a favore della versione televisiva light, che offre anche la possibilità di creare contenuti che poi possono essere trasmessi, tramite un accordo, su canali televisivi. In questo caso il sostegno di Sinclair sarebbe decisivo: con la sua forza sul territorio potrebbe ampliare quel che i giornalisti del settore (che stanno facendo grandi carriere: i “media reporter” sono, nell’èra delle fake news, i più richiesti nelle redazioni) chiamano il “must run package”, il pacchetto di informazioni pro Trump che il gruppo Sinclair non fa mai mancare ai propri spettatori. Quando si è scoperto dalle candide dichiarazioni del genero in chief Jared Kushner che c’era stato un accordo, durante la campagna elettorale, con Sinclair per una maggiore presenza di Trump e dei trumpiani nelle tv degli stati in bilico, si è capito quanto potente può essere una Bannon tv con l’aiuto di Sinclair. Anche se va ricordato che nell’ora di maggior audience, il prime time, i network locali cedono il passo a quelli nazionali.

 

Mentre le chiacchiere su Sinclair e sulla famiglia dei suoi fondatori, i riservatissimi Smith, aumentano, è nato un comitato contro la fusione tra il gruppo e Tribune Media che si chiama “Save Local Media”: all’ordine del giorno c’è la mania storica di Sinclair di tagliare le notizie sul meteo, “mettendo a rischio le comunità”, soprattutto in tempi di Harvey e Irma. Ogni metodo è lecito per fermare il gigantismo del polo conservatore, dicono gli anti trumpiani, anche se la domanda più rilevante è politica: una volta che Bannon e Breitbart dovessero avere la loro televisione, difenderanno Trump, sì?

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi