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Così il ritorno dei jihadisti e dei loro figli preoccupa i francesi

Francesco Maselli

"I nuovi rientrati sono più difficili da gestire anche perché addestrati a rispondere alle domande formali e informali dei servizi specializzati”

Roma. La minaccia dei “revenants”, di quelli che tornano. Titola così il Figaro di ieri, riferendosi ai cinquemila foreign fighters europei che hanno combattuto in Siria e che potrebbero tornare in patria. Secondo il quotidiano di boulevard Haussman sono 700 i cittadini francesi al momento impegnati nei combattimenti in Siria e Iraq e, sebbene i servizi di sicurezza non si attendano un ritorno in massa, è lecito aspettarsi un rientro progressivo di chi possiede, dopotutto, la cittadinanza francese. Ciò che preoccupa, oltre all’evidente pericolosità degli uomini, è il ritorno di bambini e adolescenti legati al gruppo terroristico. Finora, dal conflitto siriano sono tornate, solo in Francia, 269 persone: 223 adulti e 46 bambini. La procedura per far fronte al rientro degli adulti è standard e ben rodata. Una volta individuato, chi torna dalle zone di combattimento è sottoposto a delle valutazioni psicologiche e fisiche, immediatamente incriminato per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo e incarcerato in attesa del processo. I pochi individui liberi sono posti sotto stretta sorveglianza dai servizi di sicurezza interna. Secondo un report della Radicalisation Awareness Network (Ran), la rete europea anti radicalizzazione citata dal Figaro, è possibile distinguere tra due generazioni di persone che tornano in Europa. La prima è “principalmente costituita da uomini che sono partiti per ragioni umanitarie o per combattere il regime di Assad. Queste persone sono meno inclini alla violenza, più disilluse rispetto alla loro esperienza, e relativamente libere di tornare indietro una volta deciso”. La seconda generazione, invece, è “più agguerrita e più impegnata ideologicamente. Per tornare è dovuta scappare dalla sorveglianza dello Stato islamico e ha spesso motivazioni violente: nuocere ai cittadini europei. I nuovi rientrati sono più difficili da gestire anche perché addestrati a rispondere alle domande formali e informali dei servizi specializzati”.

 

E’ dunque la seconda generazione che più preoccupa i servizi di sicurezza, perché: “Queste persone potrebbero non aver avuto ruoli diretti nelle attività criminali, ma è possibile che sostengano le ideologie che si oppongono ai presunti apostati, alle altre religioni, a quelli che ritengono infedeli, ai diritti delle donne e anche alle società europee in quanto tali”. La proposta, presentata dal presidente Hollande nel gennaio del 2016 ma poi abbandonata, di ritirare la cittadinanza a chi è coinvolto in operazioni terroristiche, in modo da poterlo espellere seduta stante, è spesso ripresa dall’opinione pubblica francese, in ultimo nell’editoriale del Figaro di ieri. Ma, oltre ai problemi che un provvedimento del genere pone rispetto alle convenzioni internazionali (i francesi che non hanno una seconda nazionalità diventerebbero apolidi), Emmanuel Macron, all’epoca ministro dell’Economia, si distinse proprio per la sua ferma opposizione al progetto: difficilmente deciderà di riprenderlo da presidente.

 

Più delicato è il problema dei bambini e adolescenti, che possono rappresentare una minaccia a lungo termine o contribuire alla diffusione dell’ideologia jihadista in Europa. Secondo il Ran si tratta di tre tipologie di bambini: quelli che hanno lasciato l’Europa, con la loro famiglia o da soli, “per vivere presso un’organizzazione terroristica in territorio straniero” e poi tornati nel paese d’origine; quelli nati nelle zone di guerra e poi entrati in Europa e infine quelli “nati nell’Unione europea ma con uno o entrambi i genitori implicati in un’organizzazione terroristica all’estero”. In questi casi i bambini sono vittime del trauma di essere cresciuti in una zona di conflitto, o addirittura potrebbero aver già subìto l’indottrinamento dello Stato islamico. D’altronde erano proprio gli adolescenti un elemento chiave della filiera jihadista del Buttes-Chaumont, la cellula che fino al 2005 reclutava i giovani del XIX arrondissement di Parigi per inviarli in medio oriente, famosa per aver addestrato anche i fratelli Kouachi, responsabili della strage di Charlie Hebdo: uno dei passeurs che aiutava le reclute parigine a raggiungere l’Iraq per combattere con al Qaida aveva 14 anni.

 

Il Figaro riporta che lo stato francese ha disposto, con una circolare del marzo 2017, di trattare i singoli casi localmente, sottoponendoli all’autorità degli uffici giudiziari di competenza territoriale e predisponendo misure educative e mediche personalizzate a seconda dei casi.

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