Trump va all'attacco del razzismo rovesciato che s'annida nelle università

L'Amministrazione intende indagare i casi di sospetta discriminazione nei confronti di studenti bianchi che si vedono negare un posto in università per fare spazio a rappresentanti di minoranze che hanno punteggi uguali o inferiori

Roma. Il dipartimento di giustizia americano sta preparando un’offensiva per contrastare gli abusi delle leggi sull’“affirmative action” che avvantaggiano le minoranze etniche nell’accesso alle università. In altre parole, significa che l’Amministrazione Trump intende indagare i casi di sospetta discriminazione nei confronti di studenti bianchi che si vedono negare un posto in università per fare spazio a rappresentanti di minoranze che hanno punteggi uguali o inferiori in termini accademici. Un documento ottenuto dal New York Times, in uno dei leak che scandiscono quotidianamente la vita del governo, certifica che il dipartimento è alla ricerca di giuristi per un nuovo progetto per “indagare ed eventualmente contestare discriminazioni basate sulla razza nell’ammissione ai college e alle università”. Il testo non parla esplicitamente di discriminazione nei confronti dei bianchi, una forma di razzismo rovesciato, ma il sottotesto non potrebbe essere più chiaro. Non a caso, il dipartimento guidato da Jeff Sessions si sta muovendo a fari spenti nell’ambito della divisione sui diritti civili, sezione composta da funzionari politici nominati dall’amministrazione, e non in quella sulle opportunità educative, che invece è fatta per lo più di ufficiali di carriera e burocrati slegati dalla politica.

 

L’ipotesi di una revisione dei criteri di ammissione nelle università, inginocchiate davanti all’intoccabile totem della “diversity”, ha solleticato le passioni di chi crede che le regole per garantire pari opportunità introdotte negli anni Sessanta, dopo la battaglia per i diritti civili, si siano trasformate nel tempo in strumenti di discriminazione, potenziati dal senso di colpa dei bianchi e dai sogni di una società multiculturale alla ricerca di redenzione. Sono gli esiti inevitabili della “identity politics” a sfondo bianco istigata da Trump e incarnata in modo perfetto da Sessions, ex senatore dell’Alabama perennemente sospettato di serbare nel suo cuore tic razzisti provenienti da un’altra epoca.

 

Ma la notizia della ridiscussione della “affirmative action” non manda in sollucchero soltanto i crociati della supremazia bianca, una minoranza latente nel cuore ferito dell’America. Il dibattito sull’ammissione alle università è anche un cruccio di moderati e libertari che invocano un ritorno delle reali pari opportunità dopo i decenni di squilibrio artificiale promosso per riparare i torti del passato.

 

Roger Clegg, ex funzionario dell’Amministrazione Reagan e Bush e oggi direttore del Center for Equal Opportunity, un centro studi conservatore, dice che la manovra del dipartimento di giustizia è “necessaria”: “Le leggi sui diritti civili sono state scritte esattamente per proteggere tutti dalla discriminazione, e spesso sono non soltanto i bianchi ad essere discriminati, ma anche gli asiatici americani”, scavalcati nella lista delle ammissioni universitarie da afroamericani e ispanici.

 

La giurisprudenza americana è costellata di appelli per ridiscutere i criteri dell’“affirmative action”, e l’ultimo caso di rilevanza nazionale è quello di Abigail Fisher, studentessa che si è vista rifiutare l’ingresso alla University of Texas mentre suoi colleghi accademicamente meno meritevoli le passavano davanti. Le sue rimostranze sono arrivate alla Corte Suprema, che nel 2016 ha deliberato, con una sentenza contesa e tortuosa, che la Costituzione non era stata violata. Era stato il più liberal dei giudici conservatori, Anthony Kennedy, a scrivere l’opinione di maggioranza. Lui, che si era sempre detto scettico verso le regole antidiscriminazione così come sono oggi, ha scritto che “rimane una sfida riconciliare la ricerca della diversità con la promessa costituzionale di uguale dignità e trattamento”. Ora l’Amministrazione Trump mette il dito in questa tormentata frattura.

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