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Trump divora House of Cards

Daniele Raineri

Il presidente americano in sette mesi, a forza di rivelazioni, di bugie svelate, di collusioni provate e di illazioni selvagge ha reso obsolete le serie sulla politica americana

Roma. House of Cards ha eletto Donald Trump e per tutto ringraziamento Donald Trump ha distrutto House of Cards. Non ci sono prove o numeri per dirlo, ma è possibile pensare che tra il 2013 e il 2016 la serie House of Cards abbia fatto la sua particina per spianare la strada di Trump verso la Casa Bianca. Ricordate le prime stagioni? Tutta quella descrizione della politica americana come il cupo scontro permanente di poteri corrotti, che fanno cose indicibili e non si risparmiano colpi bassi e colpi bassissimi, tra colonnati di marmo e saloni arredati bene. Roba che resta in testa, a livello subliminale. Trame che solleticano il rancore. Dopo tre, quattro stagioni così non c’è da meravigliarsi che il forgotten man del Michigan abbia mandato Trump in trionfo a Washington come suo rappresentante. Il newyorchese non sarà Machiavelli ma giustappunto, meglio uno così che i maledetti Underwood: “Drain the swamp!”, asciuga la palude, è una delle richieste dell’America che si sente emarginata.

 

Il presidente non ha asciugato la palude di Washington, anzi, e non ha ricambiato il favore a House of Cards: in sette mesi, a forza di rivelazioni, di bugie svelate, di collusioni provate e di illazioni selvagge ha reso obsolete le serie sulla politica americana, le ha svuotate di aspettativa. Sul serio, oggi se vuoi roba eccitante metti in pausa la tv e apri i siti dei giornali americani. Una volta si guardava House of Cards per immaginare – ma a distanza di sicurezza – un universo un po’ più piccante del solito, mentre in quello vero succedevano cose regolari, Obama faceva scelte più o meno discutibili ma senza infilarsi in scandali a catena e Michelle Obama coltivava l’orticello. Ora l’universo alternativo piccante siamo diventati noi. Perdipiù i guai di Trump hanno preso un andamento a puntate, seguono il ritmo di un disvelamento che sembra studiato da un gruppo di abili sceneggiatori – e invece è il risultato del lavoro di un paio di redazioni importanti, di qualche talpa dentro l’Amministrazione e del Federal Bureau of Investigation.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)