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Le sette vite di Baghdadi

Daniele Raineri

Come reagire agli annunci della morte del capo dello Stato islamico (occhio che s’avvicina la volta buona)

Roma. Come reagire agli annunci della morte di Abu Bakr al Baghdadi? Ecco alcune cose da sapere.

 

Prima di tutto, al Baghdadi è morto nel luglio 2014, nel settembre 2014, nel novembre 2014, nell’aprile 2015, nell’ottobre 2015 e nel giugno 2016 e molte altre volte. Gli annunci di morte qui elencati sono soltanto quelli circolati con molta evidenza sui siti dei giornali e a volte basta davvero poco per scatenarli. Una volta un tizio si aprì un account su Twitter con il nome e la foto del ministro degli Esteri iracheno e scrisse un solo tweet: Baghdadi è morto. Bastò per finire in apertura sui siti dei giornali italiani. “La conferma del ministro iracheno”.

 

Numero due: la notizia arriva dal ministero della Difesa russo, che in passato si è già fatto beccare a dare notizie poco affidabili. Per esempio nel settembre 2016 ha detto di avere ucciso il numero due di al Baghdadi, il portavoce Abu Mohammed al Adnani, ma gli americani hanno poi fatto uscire le informazioni su come hanno scovato, identificato e ucciso al Adnani con un missile mentre viaggiava in macchina. Gli annunci di morte di al Baghdadi si valutano su una scala a cinque livelli in ordine crescente di affidabilità: governo siriano – governo iracheno – governo russo – governo americano – comunicato ufficiale dello Stato islamico. E nessuno di questi livelli è comunque sicuro al cento per cento, perché ci sono stati precedenti poco chiari. Ma insomma, al livello uno, le redazioni dei quotidiani continuano a fare quello che stavano facendo, senza cambiare il giornale (è successo il 10 giugno, quando i siriani hanno detto di averlo ucciso loro con un bombardamento aereo).

Numero tre: la notizia della morte di al Baghdadi è strana perché il ministero della Difesa russo dice di averlo colpito in un sobborgo a sud di Raqqa. Nei mesi finali del 2016 quella zona è diventata una cosiddetta “kill box”, quindi un bersaglio per gli aerei e i droni americani che danno la caccia ai leader dello Stato islamico. Almeno una decina di capi molto importanti sono stati uccisi, inclusi quelli che lavoravano a piani d’attentati da compiere in Europa. Nei primi mesi del 2017 la città si è progressivamente svuotata, in vista dell’offensiva curdo-araba, e molti capi e miliziani si sono trasferiti con le famiglie più a sud, sempre lungo il fiume Eufrate. Suona strano che al Baghdadi, che è un maniaco della sicurezza (e infatti ha battuto i record di longevità dei suoi predecessori, Abu Mussab al Zarqawi durato tre anni dal 2003 al 2006 e Abu Omar al Baghdadi durato quattro anni dal 2006 al 2010), si sia andato a ficcare proprio nella kill box. Un altro dettaglio che suona strano è che il bombardamento russo avrebbe ucciso assieme a lui altri trenta capi e trecento combattenti dello Stato islamico. In realtà i leader dell’Isis viaggiano senza farsi troppo notare, a volte persino fanno finta di essere altro (camion che trasportano merci) per non mettere in allarme i droni in aria e gli informatori pagati dalla Coalizione a terra. Partecipare a un raduno di capi assieme con trecento uomini dell’Isis nei paraggi di Raqqa è un violazione del protocollo di sicurezza baghdadiano.

 

Quarta stranezza: il comunicato del ministero della Difesa russo usa un fraseggio poco sicuro, mette il nome di Baghdadi soltanto all’ultimo, come se non fosse convinto al cento per cento. Anzi, in russo dice “l’informazione è in corso di verifica”, in inglese dice “l’informazione è stata verificata”. Se sei sicuro di avere ucciso il capo dell’Isis, si potrebbe pensare che lo metteresti nel titolo del comunicato. Ipotesi: forse la Russia ha captato qualcosa nel vento e vuole mettere il cappello sulla morte di al Baghdadi?

 

Quinta cosa che non quadra: lunedì il portavoce ufficiale dello Stato islamico, Abul Hassan al Muhajir, ha messo su internet un discorso ufficiale. Si tratta di un’occasione solenne che capita una volta ogni tre-quattro mesi. Se al Baghdadi è stato ucciso il 28 maggio, come dicono i russi, quale occasione migliore per dare la notizia? Invece nulla. Detto questo, una nota di cautela: lo Stato islamico è al collasso, da là arrivano ogni sorta di storie di tradimenti e di spionaggio e tutto è possibile.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)