Gerusalemme (foto LaPresse)

Un'agenda per il nuovo ambasciatore italiano in Israele

Jonathan Pacifici*

I rapporti tra Roma e Gerusalemme si sono ulteriormente rafforzati in epoca recente. Purtroppo le potenzialità non vengono messe a regime. C'è bisogno di un nuovo approccio

Il voto negativo dell’Italia sull’ultima scandalosa risoluzione Unesco contro Israele è sicuramente indice dei solidi rapporti tra Roma e Gerusalemme che si sono ulteriormente rafforzati in epoca recente. È certamente doveroso ringraziare l’Ambasciatore uscente Francesco Maria Talò per l’ottimo lavoro svolto in questi anni. Il Consiglio dei Ministri ha recentemente designato  il nuovo Ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti al quale vanno i nostri più sinceri auguri. Si tratta di un ruolo estremamente importante che va ben oltre la diplomazia.

 

Nel quadro della crisi economica che attraversa l’Europa, Israele rappresenta un’isola felice di sviluppo, innovazione, crescita ed ottimismo. L’Italia si trova in posizione strategica sia culturalmente che geopoliticamente per essere il ponte naturale d’Israele verso l’Europa. Viceversa in Israele l’Italia può trovare una grande fonte d’ispirazione per il suo rilancio.

 

Il dramma, a mio modesto avviso, è che le potenzialità non vengono messe a regime. Si fanno delle belle visite, le delegazioni arrivano e ripartono, i trattati vengono firmati ma poco si muove. C’è necessità di mettere la palla a terra. Vorrei quindi provare a tracciare alcuni criteri che dovrebbero guidare questo nuovo approccio.

 

  • Italia ed Israele sono complementari. È inutile come alcuni propongono cercare di duplicare il modello Israele in Italia, non funziona. Concentriamoci sul competitive advantage che abbiamo. Le aziende israeliane sono assetate di una sponda di mercato. In Israele c’è la tecnologia e l’innovazione, in Italia un'infrastruttura industriale di tutto rispetto. La formula dovrebbe essere: tecnologia israeliana + sistema industriale italiano. Da qui la possibilità di Joint Ventures e collaborazioni industriali e commerciali. È una formula che funziona e che nel medio e lungo termine permette di valorizzare le aziende italiane rendendole più competitive sui mercati globali.

 

  • Questi vettori non si muovono nel vuoto. C’è bisogno di ecosistema. In Israele il Sistema Paese Italia è sottorappresentato.  Ci sono le banche americane, francesi, inglesi e asiatiche, perché non le nostre? I fondi di Private Equity Italiani non ci sono così come non ci sono i centri di ricerca e sviluppo delle grandi aziende. L’universo degli R&D centers è uno dei volani dei rapporti bilaterali tra multinazionali ed Israele. Cisco, Intel, Microsoft e Google hanno importanti centri in Israele così come i colossi Cinesi e molte aziende Europee. Perché le aziende italiane non ci sono? Un importante dirigente mi disse una volta “è assurdo che Finmeccanica non abbia un centro in Israele”. Finmeccanica (che pure già ha fatto buoni affari qui, non ultima la vendita degli aerei da  addestramento all’aviazione militare per oltre un miliardo di Euro) non ha nemmeno scalfito la punta dell’iceberg rispetto al potenziale difesa/tecnologia/telecomunicazioni.

 

  • Le persone. C’è bisogno di personaggi-ponte. La vivace comunità degli ebrei italiani in Israele è un asset da valorizzare. Le success stories hanno sempre dietro imprenditori o figure binazionali. Bisogna coinvolgere il crescente numero di italiani (soprattutto giovani) che vengono qui: sono una risorsa straordinaria per le aziende italiane che vogliano avere una persona in loco. L’immigrazione italiana in Israele dovrebbe essere vista non come una “fuga dei cervelli” quando come un'incredibile opportunità per costruire ponti.

 

  • Energia. Dopo le recenti scoperte Israele si sta diventando un importante snodo energetico. È considerata una delle partite energetiche più importanti a livello internazionale e l’Italia può e deve giocare un ruolo.

 

  • Trasporti. Volare tra Italia ed Israele è ancora troppo caro. Firmati trattati a non finire ma 500 E per un volo di tre ore tra FCO e TLV, sono una mannaia sui rapporti bilaterali. Gli israeliani viaggiano molto ed alla fine vanno in Turchia e Grecia per via dei prezzi. Perché non facilitare dei voli verso lo splendido Sud? Tanti amici mi dicono – volevo andare in Italia ma i biglietti sono troppo cari. È un bottleneck da rompere.

  • Food – l’industria alimentare italiana è molto apprezzata qui in Israele. La questione della certificazione kasher è però una ‘giungla’ che frena. C’è necessità di lavorare con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sulla certificazione nazionale che razionalizzi il tutto. È un mercato enorme se si pensa alla dimensione del kasher negli USA. Come per altri discorsi, Israele è il trigger per partite più ampie.

 

*Presidente del Jewish Economic Forum