Come va il modello Venezuela

Daniele Raineri

Paese oggi in piazza per la marcia più grande contro il presidente, che però è un modello per i grillini e Mélenchon

Roma. Oggi in Venezuela è il giorno di una manifestazione di protesta contro il presidente Nicolás Maduro che – secondo l’opposizione – dovrebbe essere la più imponente fra quelle tenute fino a oggi, che pure sono state molto partecipate e hanno ingolfato di manifestanti le strade centrali della capitale, Caracas. “La madre di tutte le marce”, l’hanno chiamata gli oppositori, che protestano contro la gestione disastrosa del paese. Pur essendo un paese con riserve di greggio superiori all’Arabia Saudita, il Venezuela è un paese in bancarotta, dove l’economia si è contratta del 10 per cento l’anno scorso e l’inflazione quest’anno potrebbe superare il milleseicento per cento. La scarsità di beni di prima necessità, dal cibo alla carta igienica, ha effetti duri sulla popolazione. L’Economist del 6 aprile scriveva che nell’ultimo anno tre quarti dei venezuelani hanno perso peso (più di otto chilogrammi) per colpa della mancanza di cibo. Come è possibile che il governo di Maduro sia preso come modello virtuoso dal Movimento cinque stelle, che a marzo ha accettato un invito ufficiale e ha mandato tre rappresentanti a Caracas per la commemorazione della morte di Hugo Chávez, predecessore di Maduro? I tre non hanno incontrato rappresentanti dell’opposizione e hanno parlato della necessità di rispettare “la sovranità e l’indipendenza” del paese.

 

Lunedì il presidente Maduro ha annunciato che quintuplicherà gli uomini dei gruppi paramilitari conosciuti come milizie bolivariane – che hanno il compito di reprimere le manifestazioni e le sommosse.

 

Da centomila che erano sotto Chávez, vuole portarli a mezzo milione e fornire “un fucile a ogni miliziano”, ha detto il presidente davanti a migliaia di uomini in divisa beige riuniti davanti al palazzo presidenziale.

 

Secondo cifre ufficiali, nel 2015 ci sono stati diciottomila omicidi, il che corrisponde a circa 58 omicidi ogni centomila abitanti

Chavez creò la milizia con l’obbiettivo di addestrare un milione di venezuelani per difendere il paese da minacce esterne e interne – chiaro riferimento agli oppositori, ora Maduro dice che quella visione è ancora attuale perché il Venezuela è costretto a fronteggiare “l’aggressione imperialista”. Secondo uno schema di gioco consolidato nel tempo – e non soltanto in Venezuela, ma anche in altri paesi autoritari – il governo sostiene che i leader dell’opposizione ricevono sostegno dall’estero , che gli oppositori sono “traditori” e ha ordinato lo spiegamento nelle strade di masse di miliziani e soldati per prendere il controllo e anticipare le manifestazioni. “Sarà un segno di onore militare, unità e spirito rivoluzionario”. Ad aprile ci sono stati 538 arresti e sei morti durante le manifestazioni di piazza. Anche il governo di Cuba ha deciso di mandare l’esercito nelle strade oggi, per scoraggiare ogni tentazione di emulare le proteste in Venezuela.

 

L’ex deputata Maria Corina Machado ha messo una foto dell’assemblea delle milizie su Twitter e l’ha definita “un tentativo patetico, disperato e incostituzionale da parte del regime di intimidire i venezuelani”. L’opposizione accusa le forze di sicurezza di non riuscire a fermare i gruppi armati che attaccano i manifestanti e questa è una tattica ormai rodata anche ad altre latitudini per spegnere le proteste: vengono in mente i bassij iraniani che hanno domato con la violenza la cosiddetta Onda verde di Teheran nel 2009, oppure gli irregolari baltageya egiziani che provarono a salvare il presidente Hosni Mubarak dalle dimissioni nel gennaio 2009. Inoltre, l’opposizione smentisce ogni accusa di interferenza straniera e dice che è Maduro la causa dei problemi del paese, quindi dell’inflazione spaventosa, della scarsità di cibo nei negozi (di cui abbiamo già parlato) e anche del livello di crimine intollerabile da anni. Quest’ultimo rende Caracas una delle città con il maggior numero di omicidi al mondo, al di fuori delle zone di guerra. Secondo le cifre ufficiali nel 2015 ci sono stati diciottomila omicidi, il che corrisponde a circa 58 omicidi ogni centomila abitanti – paragonati ai quattro degli Stati Uniti. Ma secondo l’osservatorio per la violenza venezuelano, che opera in modo indipendente dal governo, gli omicidi sono stati ventottomila (per fare un paragone grezzo, il numero di omicidi in Italia nello stesso anno è 468).

 

Il rafforzamento della milizia bolivariana ha anche un senso speciale per Maduro, che deve sempre ricordare che la lealtà dell’esercito non deve essere data per scontata – come insegna la storia di Chavez, un ufficiale finito in cella per un tentativo di colpo di stato prima di ascendere al potere. Oggi il governo respinge con secchezza la richiesta di undici paesi sudamericani che chiedono mano leggera con le manifestazioni e parla di ingerenze e – immancabilmente – di “golpe straniero che avanza contro il Venezuela”.

 

Anche a prendere misure d'emergenza oggi, ci vorrebbero due anni per invertire la crisi del settore petrolifero nazionale

L’espansione della milizia filogovernativa arriva come una misura d’emergenza per fronteggiare il malcontento popolare, ma se le condizioni strutturali sono queste ci vorrà altro che un semplice tentativo di repressione. Il settimanale americano Bloomberg calcola che come minimo, anche a prendere misure d’emergenza oggi, ci vorrebbero due anni per invertire la crisi del settore petrolifero nazionale, che quest’anno ha diminuito la produzione di petrolio del 16 per cento e così ha portato il livello sotto a quello del 2003. E’ un dato brutto, considerato che il greggio rappresenta il 90 per cento delle esportazioni del paese e che il prezzo corrente è così lontano da quello molto alto degli anni d’oro, che negli ultimi anni ha messo in difficoltà anche esportatori solidissimi come Russia e Arabia Saudita.

 

Il Venezuela fa parte di un network di alleanze internazionali con l’Iran e la Russia, ma per ora i partner esteri non si stanno esponendo. La Russia anzi minaccia di tenersi le petroliere venezuelane che attraccassero in porti russi se non saranno saldati alcuni debiti commerciali. Ieri Reuters ha pubblicato una lunga inchiesta sul mondo disfunzionale delle petroliere venezuelane che vendono la risorsa nazionale all’estero – e sembra un esempio definitivo dei guai del paese, che in potenza potrebbe essere un paradiso terrestre. Reuters racconta che la flotta di navi-cisterna è azzoppata dall’incuria e diciotto su trentuno non sono in condizioni di navigare, e questo costringe la compagnia di stato a noleggiare altre petroliere a prezzi molto poco convenienti. A causa delle regolamentazioni occidentali che proteggono la pulizia del mare, le navi devono rispettare standard rigorosi (non devono entrare nei porti macchiate di greggio per colpa delle perdite), ma in Venezuela non ci sono le mega infrastrutture necessarie a queste operazioni – che quindi sono fatte a mano da decine di sommozzatori.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)