Marine Le Pen in campagna elettorale ad Erquy (foto LaPresse)

L'antisemitismo di Marine

Altro che normalizzazione del Front. La Le Pen cede al revisionismo

Inavvertitamente o di proposito, negando la responsabilità della Francia nella deportazione di 13 mila ebrei nel 1942, Marine Le Pen ha rivelato di essere rimasta la figlia politica di Jean-Marie Le Pen. Come il padre, che aveva fondato le sue forze e quelle del Front national sulla nostalgia del regime di Vichy, Marine è pronta a stuzzicare gli istinti più bassi e reazionari pur di racimolare qualche voto in più. Come il padre, Le Pen dimostra la sua anima revisionista, affermando che per rendere di nuovo la Francia fiera è necessario negare il suo ruolo nell’Olocausto. Perché non c’è altro modo di interpretare le sue dichiarazioni domenica. “Penso che la Francia non è responsabile del Vel d’Hiv”, ha detto la candidata del Fn: “La Francia è stata malmenata negli spiriti per anni. Si è insegnato ai nostri figli che c’erano tutte le ragioni di criticarla, di vedere solo gli aspetti storici più tetri. Io voglio che siano di nuovo fieri di essere francesi”.

Nel mirino di Le Pen c’è la decisione di Chirac di riconoscere nel 1993 che la Francia aveva “commesso l’irreparabile” nella retata che portò 13 mila ebrei prima al Velodromo di Parigi e poi nei campi di concentramento nazisti. Il ruolo della Francia era stato negato per 50 anni in parte per ricostruire l’unità nazionale, in parte per dimenticare l’onta di Vichy. Nemmeno Mitterrand, che di Vichy era stato un esponente, aveva voluto compiere il passo di verità di Chirac. Ma la storia è storia e anche la politica francese si è piegata. Con le sue parole, Le Pen non ha solo superato la linea rossa del revisionismo. Ha chiarito definitivamente la posta in gioco delle presidenziali: i francesi sono chiamati a scegliere tra una candidata antisemita e la democrazia liberale.