Kim Han-sol

Il misterioso video che può mettere nei guai la Corea del nord

Giulia Pompili

Kim Han-sol, nipote del leader nordcoreano, si trova sotto la protezione di un gruppo di cui nessuno sa nulla. Una vita in fuga

Roma. “Il mio nome è Kim Han-sol, vengo dalla Corea del nord”. A pronunciare queste parole è il figlio di Kim Jong-nam, fratellastro del leader nordcoreano morto il 13 febbraio scorso all’aeroporto di Kuala Lumpur, in un video che è iniziato a circolare sui media internazionali. Han-sol, nato nel 1995, parla di fronte a una telecamera fissa e su uno sfondo neutro. Indossa una felpa nera con la zip, ha i capelli tagliati alla moda, e parla in inglese con una pronuncia impeccabile. Quaranta secondi di video diffusi per dimostrare la sua identità, e per dimostrare di essere vivo: “Mio padre è stato ucciso qualche giorno fa, attualmente mi trovo con mia madre e mia sorella, e siamo molto grati a…” – a questo punto l’immagine viene oscurato in parte, silenziata, per non rivelare chi ha sostenuto e protetto la famiglia di Kim Jong-nam nei giorni successivi al suo omicidio. Perché quello che sta succedendo tra Cina, Malaysia, Corea del nord e Corea del sud è molto più di una spy story alla quale si aggiungono continuamente dettagli. E’ un incomprensibile intreccio di provocazioni, prove di forza, e di politica, ma anche di persone che vengono uccise, che scompaiono, che scappano, che chiedono protezione.

 

Nel suo primo video dopo la morte del padre, Han-sol non recita un testo che qualcuno ha preparato per lui: guarda fisso in camera quando parla dell’omicidio del padre, si vede un accenno di sorriso in una delle parti censurate del messaggio, mentre parla di chi lo ha aiutato.

Gli autori del video si fanno chiamare “Cheollima Civil Defence”, c’è un grande stemma blu sulle immagini. Il gruppo ha aperto il 4 marzo scorso un sito internet, il cui dominio è protetto, con dentro soltanto il video di Han-sol e un messaggio: “Esprimiamo pubblicamente la nostra gratitudine per l’assistenza umanitaria concessaci dai governi dei Paesi Bassi, della Repubblica popolare cinese, degli Stati Uniti e di un quarto paese che ci ha chiesto di non essere menzionato”, si legge nella dichiarazione. Il sedicente Cheollima Civil Defence non è un gruppo conosciuto tra chi si occupa di profughi nordcoreani. Anzi, nessuno ne ha mai sentito parlare. Cheollima è però un nome evocativo in Corea: si tratta della mitologica figura del cavallo che può correre cinquecento chilometri al giorno. Il “movimento cheollima” era un programma economico ideato da Kim Il-sung nel biennio 1958-1959 per costruire economia e socialismo nella Corea del Dopoguerra. I nati negli anni Sessanta in Corea del nord vengono chiamati quelli della “generazione Cheollima”. Ma non si sa chi ci sia dietro al gruppo che dice di aver aiutato la fuga e concesso protezione ai tre membri della famiglia di Kim Jong-nam, che nella sua homepage dice di avere una rete stabile all’interno dei confini, oltre il 38° parallelo, e di aver già aiutato molte persone a scappare “senza volere nulla in cambio”.

 

Impossibile, per ora, anche solo ipotizzare l’inizio di un movimento autoctono di rivolta al regime. Han-sol, che dal giorno dell’omicidio del padre era cercato da tutti, e in molti si aspettavano di vederlo a Kuala Lumpur al riconoscimento del corpo del padre, invece era sparito con l’aiuto di un gruppo misterioso e dei governi di quattro diversi paesi. E’ in fuga dal suo paese natale da quando aveva sei anni.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.