H.R. McMaster e Donald Trump (foto LaPresse)

McMaster è un altro duro con il cervello alla corte di Trump

Daniele Raineri

Chi è il nuovo consigliere per la Sicurezza del presidente americano. Un innovatore della cultura strategica e militare che va oltre il semplice approccio muscolare delle forze armate. La lezione Tal Afar

Roma. Nel 2006 alcuni ufficiali americani in Iraq si riunirono in quello che fu poi chiamato “il consiglio dei colonnelli” per parlare della guerra – che andava male, gli estremisti dominavano le notizie con stragi e sabotaggi – e della migliore soluzione per uscirne. Alcuni proponevano “Go long”, ovvero cerchiamo di limitare le perdite, di contenere i combattimenti e di resistere abbastanza a lungo da poter dire di non essere stati cacciati. Altri dicevano direttamente: “Go home”, andiamo a casa, non c’è altro da fare. Un solo colonnello sulla quarantina invece proponeva “Go big”, facciamo le cose in grande: chiediamo altri soldati, usciamo dalle basi, cerchiamo l’aiuto della popolazione irachena e battiamo gli estremisti. In effetti, fu quello che successe e la direzione era quella giusta: i soldati americani agli ordini del generale David Petraeus riuscirono a stabilizzare il paese e a riconsegnarlo al governo iracheno (la storia finisce male, come sappiamo, e gli estremisti sono tornati, ma attorno al 2010 l’Iraq aveva imboccato con decisione la pista per diventare una nazione normale). Quel colonnello del “Go big” era H.R. McMaster, il generale che due giorni fa è stato nominato da Donald Trump consigliere per la Sicurezza nazionale, al posto di Mike Flynn, allontanato per essere stato poco chiaro sui suoi rapporti con il governo russo.

 

McMaster è il protagonista di un reportage molto bello pubblicato dalla rivista New Yorker nell’aprile 2006 e titolato “La lezione di Tal Afar”, in cui si racconta il processo evolutivo intrapreso da alcuni ufficiali americani. Non sono più gli sbruffoni convinti di potere risolvere qualsiasi problema grazie al potere militare di cui dispongono, si tuffano con dedizione e curiosità nell’ambiente in cui sono costretti a operare e imparano che più conquistano la fiducia degli iracheni e più risultati raggiungono.

 

Tal Afar è una cittadina poco a ovest di Mosul che nel 2006 era un incubo per i soldati americani e il governo iracheno: una antica cittadella piena di sciiti circondata da quartieri residenziali sunniti, con continui atti di violenza da entrambe le parti (molti leader dello Stato islamico sono di Tal Afar). Ma McMaster riuscì a contenere la violenza grazie al suo approccio distante da quello soltanto muscolare (eppure era stato decorato per un’azione di guerra classica, era arrivato con il suo reparto corazzato in mezzo ai nemici, durante la Guerra del Golfo, e li aveva distrutti). Tutto cominciava dall’addestramento in America: McMaster aveva fatto preparare edifici con immagini di santi sciiti e bandiere per addestrare i soldati a scenari che fino allora non avevano preso in considerazione: arriva un attentatore suicida a piedi, cosa fai? C’è un ubriaco arrabbiato che però non è un rischio, cosa fai? C’è una donna incinta che deve passare in fretta attraverso il posto di blocco, cosa fai? “La lezione di Tal Afar”, appunto.

 

McMaster è anche l’autore di una tesi di dottorato che poi è diventata un saggio, Dereliction of Duty, in cui sostiene che durante gli anni della guerra in Vietnam il presidente Kennedy, il presidente Johnson e il segretario alla Difesa, McNamara, hanno ignorato e isolato i loro comandanti militari. La tesi del saggio è che i generali avrebbero dovuto farsi ascoltare dalla leadership civile, e che era loro dovere farlo – in modo da mettere la loro esperienza al servizio del governo del paese. E’ chiaro che oggi la nomina di McMaster assume un significato forte, perché avviene all’interno di una Casa Bianca considerata troppo impermeabile ai consigli e all’esperienza di chi non fa parte del circolo strettissimo, esoterico di Trump.

 

Di recente, McMaster si era specializzato nello studio di come controbattere al nuovo modo di fare la guerra della Russia – la guerra ibrida, fatta di “uomini in verde” e propaganda – e fa parte del progetto militare specifico (Russia New Generation Warfare Study) i cui ufficiali fanno viaggi discreti sulla linea del fronte in Ucraina per osservare i russi. Molto lontano in tutto dal suo effimero predecessore Flynn. 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)