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Ognuno ha il suo fantasma, e Trump li rappresenta tutti. Vedi Mao

Eugenio Cau

I sinologi americani tracciano parallelismi con il Grande Timoniere. Ma così accade in altri paesi, con altri leader. Sarà un’ossessione?

Roma. In quel piccolo microcosmo accademico e giornalistico che è il mondo dei “China watcher”, professori e reporter in gran parte americani che trascorrono il loro tempo a leggere le foglie di tè del Partito comunista di Pechino, da molte settimane è nata una convinzione controversa e interessante: il nuovo presidente americano, Donald Trump, assomiglia per carattere e intenti al Grande Timoniere, Mao Zedong. Sia chiaro, dicono tutti per evitare l’immediata protesta del trumpiano, c’è differenza tra un presidente democraticamente eletto e un tiranno le cui politiche sono state responsabili, secondo gli storici, di decine di milioni di morti. Ma per carattere e atteggiamento nei confronti del potere, dicono i sinologi, Mao e Trump si assomigliano, allo stesso modo in cui le dinamiche di massa scatenate dai due leader fanno assomigliare trumpismo e maoismo.

 

Tra i primi a parlare della somiglianza c’era stata la giornalista Jiayang Fan sul New Yorker, in un articolo intitolato “Il maoismo di Donald Trump” e pubblicato a maggio dell’anno scorso, prima delle elezioni, e da allora è continuato un profluvio di commenti. Tra questi quello di Kerry Brown, professore del King’s College a Londra, che a gennaio scriveva su The Diplomat: “Immaginate un leader a capo di un partito politico i cui dirigenti principali lo disprezzano tanto quanto lui disprezza loro. Uno che si esprime con dichiarazioni contraddittorie e cambia continuamente idea e posizione. Qualcuno che ha avuto molteplici matrimoni e una vita privata complessa. Una persona che fa leva sulle paure della gente, e il cui primo approccio spesso sembra sobillare grandi confusione e agitazione. Questa è la descrizione di Mao Zedong, ma si attaglia altrettanto bene” al presidente Trump. Alla fine, il tema è diventato mainstream. L’idea di fondo è che Trump sia l’unico e inconsapevole discepolo nella storia politica dello stile di leadership di Mao, il quale con The Donald condivideva l’imprevedibilità capricciosa in tutte le scelte politiche e l’amore per la contraddizione in quanto tale: per entrambi, l’anarchia e la commozione delle masse non sono un sintomo da evitare, ma un risultato politico. “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”: il motto di Mao sarebbe perfetto in un tweet di @realDonaldTrump, così come un altro celebre: “La contraddizione è l’essenza della vita”. Per tutto il tempo trascorso alla guida della Cina, Mao cercò di fomentare una rivoluzione continua del sistema contro se stesso, e i primi dieci giorni di Trump promettono bene anche in questo senso. I due, inoltre, condividono un disprezzo viscerale per la classe intellettuale.

 
Il paragone è interessante e sostenuto da fior di studiosi, ma a uscire dalla bolla dei China watcher si scopre che l’idea ha attecchito solo in parte. Altrettanto diffusi sono i paragoni, specie nella sinistra italiana e tra chi si è occupato del nostro paese, tra Trump e il collega imprenditore-politico Silvio Berlusconi. In Germania si è applicata immediatamente la reductio ad hitlerum, e alcuni tra i migliori storici hanno evidenziato le somiglianze tra il presidente platinato e gli inizi della carriera politica del Führer. Follia, almeno per ora. Altri hanno parlato di Benito Mussolini. Gli osservatori che si occupano di America Latina hanno trovato un altro paragone perfetto: Hugo Chávez, il caudillo che ha inaugurato un nuovo stile di politica populista e muscolare in Venezuela. Così sorgono due dubbi. Il primo è che tutti i populismi tirannici, almeno a un certo stadio, si assomiglino tra loro. Il secondo è che Trump, forse, potrebbe essere diventato una figura archetipica. L’espressione di un trauma, la personificazione dei fantasmi di chi ha a che fare con lui. Chi guarda Trump vede riflesse allo specchio le sue ossessioni, e questo, se certo è l’esito di un eccesso di considerazione per l’ex palazzinaro di New York, è anche il risultato perfetto per uno che ha fatto della contraddizione la sua cifra personale. Un tratto perfettamente maoista.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.