Un soldato nei pressi di Mosul (foto LaPresse)

Il patriarca di Baghdad benedice “il nobile compito” dei liberatori di Mosul

Matteo Matzuzzi
Le campane erano state le prime a essere messe a tacere dai jihadisti, perché segno visibile del radicamento cristiano in quelle terre. Abbattute, fuse, fatte a pezzi. Non è un caso che i liberatori, per manifestare l’inizio della svolta, per dare significato alla riconquista delle città e dei villaggi occupati, si dirigano subito nelle chiese.

Roma. Le Unità di mobilitazione popolare irachene l’avevano scritto qualche giorno fa su Twitter: “Mosul, le campane delle tue chiese suoneranno presto. Noi avevamo promesso questo nel dicembre del 2015 e oggi siamo alle tue porte”. Alle porte della grande città della Piana di Ninive, le milizie dell’esercito regolare e i peshmerga curdi ci sono arrivati, ma le prime campane a suonare, dopo oltre due anni di silenzio imposto dal fanatismo jihadista califfale, sono state quelle dell’antica chiesa ortodosso-siriaca di Bertella, presidio assiro fin dal Primo secolo dopo Cristo. L’unica campana rimasta al suo posto che ha ricominciato a diffondere nell’aria i suoi rintocchi, mentre qualche metro più giù si faceva la conta dei danni, tra libri sacri bruciacchiati gettati a terra, statue distrutte, altari profanati e tabernacoli resi irriconoscibili. Perfino le tombe dei vescovi sono state sventrate, con i resti dispersi e lasciati alla mercé dei volatili che hanno preso dimora tra le volte della chiesa.

 

Le campane erano state le prime a essere messe a tacere dai jihadisti, perché segno visibile del radicamento cristiano in quelle terre. Abbattute, fuse, fatte a pezzi. Non è un caso che i liberatori, per manifestare l’inizio della svolta, per dare significato alla riconquista delle città e dei villaggi occupati, si dirigano subito nelle chiese, ricomponendo e pulendo le statue dei santi e dei martiri, sistemando gli altari e facendo suonare le campane. Era stato il patriarca di Baghdad, mar Raphaël Louis I Sako, pochi giorni fa, a lanciare un appello affinché tutte le comunità cristiane irachene si unissero in preghiera per sostenere la battaglia decisiva. “Vorremmo salutare con oroglio il coraggioso esercito iracheno, la polizia federale, i peshmerga e la mobilitazione popolare e le forze della coalizione unite nella liberazione di Mosul e delle città della zona di Ninive. Affermiamo – si legge in una Nota ufficiale del Patriarcato – il nostro sostegno a loro in questo compito nobile e difficile, offrendo le nostre preghiere giornaliere al Signore”.

 


II patriarca di Baghdad, mar Raphaël Louis I Sako (foto LaPresse)


 

Domenica, al termine dell’Angelus, era stato il Papa a lanciare un appello per la protezione dei civili che si trovano intrappolati nella morsa jihadista: “In queste ore drammatiche, sono vicino all’intera popolazione dell’Iraq, in particolare a quella della città di Mosul. I nostri animi sono scossi dagli efferati atti di violenza che da troppo tempo si stanno commettendo contro i cittadini innocenti, siano musulmani, siano cristiani, siano appartenenti ad altre etnie e religioni. Sono rimasto addolorato nel sentire notizie dell’uccisione a sangue freddo di numerosi figli di quell’amata terra, tra cui anche tanti bambini. Questa crudeltà ci fa piangere, lasciandoci senza parole”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.