Bob Diamond (foto di Wikipedia)

La campagna d'Africa di Diamond incrocia quella di Passera su Mps

Ugo Bertone
La banca senese rifiata in Borsa per l’esame del piano dell’ex Barclays (che si prodigò per Lehman) e dell’ex Intesa.

Milano. Provaci ancora Bob. Nella squadra di banchieri e finanzieri disposti a seguire Corrado Passera nell’impresa Monte dei Paschi di Siena spunta il nome di Atlas Group, la finanziaria che fa capo a Bob Diamond, già ceo di Barclays, già protagonista nel 2008 di un ardito tentativo di salvare in extremis Lehman Brothers. Oggi la sua missione è di diventare il banchiere numero uno d’Africa, con l’obiettivo di cavalcare la crescita esponenziale del Continente Nero. Ma il progetto, complici alcuni infortuni in Zimbabwe e Nigeria, segna uno stop, solo temporaneo assicura il pirotecnico banchiere americano prestato alla City. Ma c’è tempo vero far rotta verso Rocca Salimbeni.

 


Corrado Passera (foto LaPresse)


 

Provaci ancora Corrado. Passera, già protagonista del rilancio delle Poste e, non meno importante, del decollo di Banca Intesa affidatagli in cattive acque dopo lo sciagurato incrocio con il Crédit Agricole, trasformata anche grazie al matrimonio con il San Paolo. Non c’è due senza tre, si è detto l’ex ministro, ansioso di guarire dai fiaschi accumulati in politica. Che c’è di meglio, per lenire le delusioni, che scalare una montagna ritenuta inviolabile, quale appare dopo tante fatiche (e 8 miliardi di aumenti di capitale finiti in fumo), la vetta di Rocca Salimbeni? Solo una sensazione? No, molto di più. Dalla City arriva a mezza bocca la conferma dello staff di Diamond all’anticipazione del Financial Times. Impenetrabile la cortina del silenzio attorno alla squadra di Passera, deciso a giocare le sue carte al momento della due diligence.

 

Ma la squadra, Diamond compreso, c’è. Ne sono convinti anche a Siena visto che, dopo il primo incontro riservatissimo di sabato, l’esame del piano Passera proseguirà stamane, secondo quanto annunciato da Mps al termine dell’ultimo cda con un eloquente comunicato: “Il consiglio – si legge – ha analizzato accuratamente una lettera inviata dal dott. Passera e pervenuta alla banca in data 13 ottobre in cui viene illustrata una proposta non vincolante relativa al potenziale rafforzamento patrimoniale della banca. Il consiglio di amministrazione ha conferito a riguardo uno specifico mandato all'amministratore delegato che ha avviato ulteriori approfondimenti”. Insomma, dal “no” senza esitazioni di luglio, si è passati all’esame “accurato” di una proposta che ha quasi il sapore di un’ultima spiaggia. O di un salvagente per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, terrorizzato dall’idea che i debiti di Mps possano rappresentare il suo Vietnam. Ieri la Borsa sembrava sperarci.

 

Non è difficile capire perché, dopo l’ironia iniziale, il piano Passera rischi di esser preso sul serio: l’offerta di partecipare all’aumento di capitale di Mps proposto in giro per le capitali della finanza da Mediobanca e dal colosso JP Morgan, al momento, è caduta nel vuoto. Nessuno, a qualsiasi latitudine, si è detto disposto a metter soldi a queste condizioni in un istituto che ha bruciato negli ultimi due anni 8 miliardi di mezzi freschi e che si accinge a chiedere al mercato una cifra dieci volte superiore al suo attuale valore di Borsa, comunque assai inferiore alle commissioni e alle penalità rivendicare dalla banca americana in caso di flop. Certo Jp Morgan e Mediobanca hanno ormai modificato la rotta: l’aumento di capitale sarà più modesto, in parte sostituito dalla conversione in azioni dei bond Mps, largamente trattati in Piazza Affari nelle ultime settimane dai gestori speculativi.

 

E così il “nuovo” Mps rischia di finire nelle mani degli hedge fund, magari assieme a un investitore come il Qatar, cui è stata offerta una quota strategica della banca. Ci sono alternative? Da quel che si sa il piano che propone l’ex ministro dell’Industria è ben diverso: un aumento di capitale nell’ordine di 2,5 miliardi riservato ad un pool di nuovi investitori (radunato da Passera in questi mesi) più una tranche, attorno ad un miliardo per gli attuali soci. Un altro veicolo, sempre gestito dalla squadra dei cavalieri bianchi radunato dal banchiere (potenziale presidente della nuova compagine), si occuperà di sofferenze e incagli, non meno onerosi. Insomma, invece che donar sangue al Monte, privo di un socio di riferimento si potrebbe dar vita a una muova maggioranza attorno a un progetto di lungo termine, capace di dar fiducia a un management forte, sostenuto da un azionariato forte. E, cosa non meno importante, impermeabile ai destini della congiuntura politica.

 

L’operazione Passera, dicono gli esperti, può essere condotta in tempi brevi, indipendenti dagli umori che accompagnano il referendum: i nuovi investitori devono avere una logica industriale di medio periodo o comunque impermeabile all’effetto di un “sì” o del temuto “no”. Anche questo potrebbe far pendere l’ago della bilancia verso Passera o, comunque, verso una soluzione condivisa. Del resto, il nuovo ad senese Marco Morelli, che fino al rientro in Mps ha vestito la casacca di rappresentante di JP Morgan in Italia, è stato a suo tempo scelto da Passera per guidare la Banca dei Territori, la provincia più importante di Intesa Sanpaolo, nel momento dell’uscita di Pietro Modiano. Senza dimenticare che certi incastri politici che hanno segnato il passato delle banche italiane, oggi contano assai di meno, sotto l’urto dei mercati che non si curano più dei quarti di nobiltà.

 

Anche per questo può essere il momento giusto per rivedere in azione Bob Diamond, il duro che non esitò a prendere in mano nel 2008 il dossier Lehman Brothers per evitare il default da cui ha preso il via la Grande Recessione. A fermarlo allora fu la Banca d’Inghilterra che tre anni dopo impose il suo allontanamento per lo scandalo del Libor in cui, parola del New York Times, “Diamond non era più colpevole degli altri rimasti al loro posto”. Per uno come lui Mps è poco più di una passeggiata.

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