Un gruppo di bambine curdo-siriane a Kobane, in Siria (foto LaPresse)

Una giornata per le bimbe invisibili

Redazione
L’Onu parli delle cinesi abortite e delle yazide schiavizzate

Viviamo in un mondo in cui la semplice accusa di “sessismo” riesce a far cancellare una cattedra a Yale, a modificare le voci dell’Oxford Dictionary e persino a fermare la corsa presidenziale di Donald Trump. Martedì milioni di bambine nel mondo, vittime di violenze, abusi e discriminazioni, sono state ricordate nella Giornata mondiale delle bambine e delle ragazze proclamata dall’Onu. Iniziativa lodevole e meritoria, ma spesso riempita di vuota retorica. Infatti non risultano appelli in questa giornata per le 62 milioni di bambine cinesi “scomparse” a causa dell’aborto selettivo in trent’anni di politica del figlio unico. L’Onu è in imbarazzo su di loro, in quanto difensore della “libertà riproduttiva” nel mondo e responsabile di tante controverse politiche di “pianificazione familiare”, anche in Cina. Il deputato americano Chris Smith, a capo della Congressional-Executive Commission on China, ha appena diffuso i dati su quella che l’Economist ha chiamato “Gendercide”. Il genocidio di genere. “La guerra globale contro le bambine”. Nel 2015, in Cina ci sono stati 34 milioni di uomini in più delle donne e 62 milioni di “missing girls”. Bambine innocenti, bambine non volute, bambine colpevoli di essere quel che sono. In Cina un’ideologia eugenista e malthusiana i figli li vuole unici, maschi e sani. Traffico di spose, violenza sessuale, suicidi femminili accompagnano questa agonia demografica. Nel 1990 fu Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia, a lanciare l’allarme, anche nella sua India: “Milioni di bambine sono state cancellate in seguito a infanticidi o aborti selettivi di feti femmine, resi possibili dai progressi tecnologici”.

 

L’Onu, nelle sue feste multicolori, dovrebbe parlare anche e soprattutto di loro. Nel 2016, in Asia, una bambina in pancia ha il cinquanta per cento di possibiltà di sopravvivere a uno scanner prenatale. Poi ci sono le altre “missing girls”, le bambine curde yazide ancora nelle mani dei carnefici dello Stato islamico e quelle nigeriane tenute come schiave da Boko Haram. Sono migliaia. “C’è urgenza di un maggiore sostegno internazionale per aiutare i sopravvissuti ad affrontare i traumi fisici e psicologici degli abusi che hanno subìto”, ha appena detto Lynn Maalouf, vicedirettore dell’ufficio di Amnesty International a Beirut. “La comunità internazionale deve tradurre choc e orrore per i crimini dell’Isis in azioni concrete”.

 

Vanno bene dunque le battaglie retoriche contro il sessismo, ma le Nazioni Unite devono tradurre questa retorica in fervore e in prassi anche quando le bambine restano vittime dell’orrenda eugenetica di stato cinese e della sottomissione islamista. C’è bisogno di una giornata delle “missing girls”, le piccolissime vittime dell’odio ideologico.