Brack Obama e Hillary Clinton durante la convention a Philadelphia (foto LaPresse)

Perché l'eredità obamiana può appesantire la corsa di Clinton

Eugenio Cau
E’ ormai un’opinione assodata che una presidenza Clinton corrisponderebbe a un terzo mandato obamiano. Ma per Clinton l’eredità obamiana rischia di essere più pericolosa di quanto immaginato. Obamacare, deal nucleare con l’Iran, Guantanamo, libero scambio: tutti i dossier che Hillary teme. Dimissioni nel team Trump.

Roma. Il sito di satira americana The Onion, famoso per i suoi ribaltamenti comici della cronaca politica, ha reimmaginato di recente il discorso tenuto dal presidente americano Barack Obama alla convention del Partito democratico il mese scorso: “Hillary Clinton farà tutto ciò che è in suo potere per preservare i risultati che abbiamo ottenuto negli ultimi otto anni”, dice il presidente nel finto discorso, “anche quelli davvero ripugnanti”. Secondo la retorica liberal, Barack Obama è uno dei presidenti più efficaci della recente storia americana, almeno dal punto di vista degli obiettivi raggiunti, e il suo sostegno vigoroso alla campagna di Hillary Clinton è motivato dalla necessità di difendere la sua legacy, la sua eredità politica, dalla possibile ascesa alla Casa Bianca di Donald Trump. Obama vede in Hillary una candidata in quasi perfetta continuità con le sue iniziative, e a ragione: poche volte nella storia recente un aspirante presidente è rimasto tanto aderente all’ombra del suo predecessore.

 

E’ ormai un’opinione assodata che una presidenza Clinton corrisponderebbe a un terzo mandato obamiano. Obama gode di un tasso di approvazione piuttosto alto (52 per cento secondo Gallup) e la strategia di Clinton sembra essere quella di mantenersi il più possibile in scia per assicurarsi la vittoria. Ma per Clinton l’eredità obamiana rischia di essere più pericolosa di quanto immaginato. Molti provvedimenti chiave presi negli ultimi otto anni si stanno mostrando fragili, mentre altri rischiano di essere preda facile degli attacchi di Trump (che pure ha i suoi problemi: ieri si è dimesso il manager della campagna Paul Manafort, a causa del suo recente demansionamento e degli scandali che lo legano all’ex presidente filorusso dell’Ucraina). Si prenda l’Obamacare, forse il risultato principe della presidenza. Come segnalano i giornali conservatori americani, i costi delle polizze assicurative sovvenzionate dall’Affordable Care Act stanno aumentando costantemente. Questa settimana, Aetna, la terza compagnia d’assicurazioni del paese, ha annunciato che ritirerà i due terzi delle polizze offerte con l’Obamacare a causa delle perdite insostenibili (430 milioni di dollari in due anni). Secondo il Wall Street Journal, altre 40 compagnie si stanno preparando allo stesso passo, e l’intero sistema traballa.

 

Durante un dibattito, Clinton ha detto che l’Obamacare sta subendo qualche “intoppo”, ma rischia di dover rispondere più seriamente se la situazione dovesse peggiorare. Anche il deal nucleare con l’Iran, pilastro della politica estera obamiana a cui Clinton ha contribuito da segretario di stato, potrebbe essere in realtà un fianco scoperto per Clinton, e non solo per le ben note critiche secondo cui il deal non rende più sicura la regione e anzi mette l’Iran sulla strada della Bomba. Giovedì il dipartimento di stato ha riconosciuto per la prima volta che Washington ha velocizzato il pagamento di un vecchio debito da 400 milioni di dollari a Teheran per usarlo per “influenzare” il rilascio di tre americani prigionieri: una specie di riscatto che ha fatto gridare allo scandalo il panorama politico. Poi ci sono i trattati di libero scambio, Tpp e Ttip, a tal punto tossici in questa tornata elettorale da costituire uno dei rari casi in cui Clinton ha preso le distanze dal suo predecessore. In caso di vittoria, però, gestire le aspettative degli alleati interni ed esterni che hanno trascorso gli ultimi anni a negoziare con Washington rischia di essere quasi impossibile per la candidata democratica. Oppure si pensi a Guantanamo. Obama in otto anni non è riuscito a chiudere la prigione nonostante le infinite promesse, e passerà il dossier al suo successore. Più volte Clinton si è detta favorevole alla chiusura, ma già durante le primarie Bernie Sanders l’ha attaccata ferocemente su questo tema – ed è facile immaginare che dal fronte opposto anche Donald Trump farà altrettanto.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.